Mario Adinolfi attacca Miguel Bosè, proponendo le sue solite generalizzazioni e dietrologie da voltastomaco


Probabilmente solo un sciacallo privo di qualsivoglia morale non avrebbe freni inibitori nel mettersi nel mezzo di un divorzio per vomitare i suoi giudizi contro le decisioni delle parti. Ed infatti a ricoprire quel ruolo troviamo il solito Mario Adinolfi, l'integralista che ha mollato moglie e figlia per correre tra le coperte di una ragazzina molto più giovane di lui che ha "sposato" in uno squallido casinò di Las Vegas indossando tuta e scarpe da ginnastica.
Ovviamente, dato che Adinofli basa gran parte del suo fatturato sull'odio contro i gay, la sua propaganda pare voler colpevolmente ignorare la difficoltà dei divorzi etero per prendersela esclusivamente contro i gay. D'altra parte stiamo parlando di un uomo che, rigorosamente per profitto, non si fa problemi ad ostentare i la sua attività sessuale, a citare la Bibbia per chiedere la sottomissione delle donne e a vantarsi di come lui farebbe qualunque cosa pur di danneggiare le famiglie non conformi alla sua ideologia. Peccato che un "padre" di due figlie femmine che promuove maschilismo e sottomissione femminile pare non avere rispetto neppure verso la propria prole, prima vittima della sua ideologia.

Facendo propria l'abitudine dei neonazisti ad usare virgolette che tolgano dignità alle parole attribuite alle sue vittime, Adinolfi scrive:

I giornali raccontano del "divorzio" tra Miguel Bosè e il suo compagno e della decisione di "spartirsi" (incredibile, viene usato proprio questo verbo in molte titolazioni) i figli, due coppie di gemelli acquistati tramite la procedura dell'utero in affitto. Tra i due gay litiganti verrà piazzato un oceano di mezzo e dunque la separazione è di quelle pesanti e traumatiche. Già è terribile per un bimbo se papà lascia alla mamma la casa di Prati e va a vivere all'Eur, figurarsi frantumare anche i rapporti fraterni e piazzarsi a continenti di distanza. Disumano, al limite dell'incomprensibile. 

Come al solito siamo davanti a cerca la demonizzazione. Siamo davanti a chi sta cercando di usare i bambini per vomitare condanne contro tutti i gay attraverso bieca generalizzazione. Sarebbe come prendere un qualunque fascicolo di un divorzio etero ed esigere che lui ne renda contro.
E se lui pontifica con tanta leggerezza sulle situazioni famigliari altrui, anche noi dovremmo poterci poterci quale trauma sia per le sue figlie avere un "padre" che va in giro a vantarsi pubblicamente di quanto gli piaccia fare sesso bareback con la madre dopo averla sottomessa? Quale trauma è avere un "padre" che minaccia violenze psicologiche qualora le figlie non abbiano l'orientamento da lui deciso? Quale trauma è avere un "padre" che ha mollato mamma perché ne ha trovato una più giovane?
Insomma, non si capisce da quale pulpito il signor Adinolfi pensa di poter vomitare la sue dietrologia dall'altro quelle sue "famiglie" assai poco invidiabili.

Si passa così a citare film a casaccio per creare dietrologia. Usando termini aberranti contro la GpA in un costante abuso delle parole quale mezzo per sdoganare l'odio, è con toni da voltastomaco che incalza:

Molti ricordano La Scelta di Sophie, lo straziante film in cui una perfettamente tragica Meryl Streep deve decidere quale dei due figli non vedere più, costretta a farlo da eventi più grandi di lei. Per i più confidenti con le Sacre Scritture tornerà alla mente l'episodio di re Salomone e delle due donne che reclamano lo stesso figlio e il re le mette alla prova trovando un saggio modo per "spartirlo": a fil di spada. Una metà a una donna, una metà all'altra. Lì esce fuori la vera madre, che dice di consegnarlo all'altra ma di non ucciderlo. Sono episodi che raccontano come sia davvero incomprensibile, umanamente impensabile, l'idea per un genitore di doversi privare del rapporto con i propri figli. E raccontano anche come dall'utero in affitto non possa derivare vera genitorialità, i figli acquistati con una transazione di tipo commerciale dopo aver pagato la donna che li partorisce sono ipso facto ridotti a cose. Le cose, sì, si possono spartire. Il tv al plasma a te, l'aspirapolvere senza fili a me. I figli no. Sophie muore suicida, il dolore è troppo grande. E la vera madre dell'episodio di Salomone rinuncia al figlio pur di non vederlo "spartito". Ma sono vere madri, appunto.

Siamo dunque davanti ad un Adinofli che ci viene  adire che lui può essere genitore perché ha  spruzzato il suo sperma nella vagina delle sue due mogli. Il resto non conta.
Decisamente da voltastomaco è anche come Adinolfi paragoni dei figli a degli aspirapolvere, giurando su Dio che la causa sarebbe l'omosessualità di genitori che lui esige siano privati dalla possibilità di avere figli (se gay, perché se è Gandolfini lui benedice come la sua sterile unione matrimoniale sia stata sopperita dall'adozione di manciate di figli). Se davvero ad Adinolfi fregasse qualcosa della GpA e non solo di come sfruttare il pregiudizio per creare morte, dovrebbe essere il primo a battersi per la adozioni gay. Se non lo fa (e non lo fa) è solo perché sta usando i bambini come mezzo per difendere la sua ideologia basata sul negare che si possano avere ruoli paritari in famiglia dato che lui esige mogli che si sottomettano al suo uccello e figlie che si conformino a come lui ha deciso dovranno essere in quanto loro padrone.

Irritante, volgare, e traboccate d'odio, siamo dinnanzi all'ennesimo testo traboccante d'odio che ci mostra a qual livello di degrado siano capaci i fondamentalisti. In particolare un mario Adinolfi che ha visto scemare il suo business basato sul commercio di omofobia ed ora deve essere sempre più violento e privo di etica se vuole continuare a garantirsi profitti. Ed è così che i suoi rantoli sono diventati un ricettacolo di insulti e una patetica ripetizione di litanie in cui continua a dire che gay comprerebbero i bambini e che quel 90% di eterosessuali che accade alla GpA non lo infastidisce perché c'è un maschio che penetra una vagina.
Se davvero credesse in Dio, dovrebbe perdere il sonno all'idea del male di cui sarà chiamato a rendere conto.
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