Aggredito dalla polizia, gli incidono la parola «gay» sull'addome


È accaduto in Kazakistan. Un ragazzo 20enne è stato visto da tre uomini mentre baciava un altro ragazzo. È stato avvicinato ed aggredito, picchiato brutalmente ai reni, allo stomaco e alle gambe con dei manganelli.
Quando si è recato dalla polizia per denunciare l'accaduto, l’agente che ha raccolto la sua deposizione gli ha detto che lo avrebbero richiamato se ci fossero stati sviluppi.
Dopo alcuni giorni, un poliziotto lo ha fermato e gli ha raccontato che avevano trovato dei sospetti e che sarebbe dovuto andare subito in caserma per identificarli. Seppur riluttante, è salito sull'automobile del poliziotto, rendendisi ben presto conto che lo stava portando in periferia.
Qui è stato insultato: «Maledetto gay, come osi scrivere una dichiarazione, non capisci che nessuno ti aiuterà, sei una vergogna per tutto società». A quel punto è stato picchiato e costretto a bere una bottiglia di vodka.
Si è risvegliato in ospedale. Aveva lesioni in tutto il corpo e l'addome fasciato. I medici gli hanno spiegato che i suoi aggressori gli avevano inciso la parola «gay» sulla pancia.
La madre, ossia l'unica persona ad essergli restata vicina dopo il coming out, lo ha dovuto trasferire in una clinica privata dato che in ospedale i medici non parevano curarsi di lui.

Nonostante in Kazakistan l'omosessualità non sia reato, l'influenza russa e cinese alimentano un forte odio sociale contro i gay. A ciò si aggiunge come le violenze della polizia siano una prassi pressoché quotidiano dato che la paura di ritorsioni porta spesso le vittime a non sporgere denuncia. In un anno, sono meno di dieci le violenze denunciate.
E non meno influente è come molti gay abbiano paura a dover dichiarare la propria omosessualità per poter denunciare casi di omofobia, motivo per cui gli omofobi si sentono liberi di agire indisturbati.
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