Treviso sfodera la bufala «gender» come pretesto per il loro contributo all'odio omofobico


È proponendo la bufala «gender» e gli slogan di Mario Adinolfi che la giunta di Treviso, guidata da Lega e centrodestra, ha giustificato la loro decisione di abbandonare la rete antidisceiminazione. In quel ricorso alle classifiche che tanto piacciono ai leghisti, dicono che prima della vittima di discriminazione venga il maschio eterosessuale. È dunque ammettendo la loro incapacità ad occuparsi di più di un cittadino alla volta che raccontano che il bambino gay verrà lasciato alla mercé dei bulli perché loro sono troppo impegnati a raccontare che l'odio contro chiunque non risulti conforme al volere di Massimo Gandolfini. Il tutto passando attraverso lo stupro del termine «famiglia» quale pretesto per sostenere che i figli non abbiano alcun diritto ad essere difesi e che abbia ragione il senatore leghista Simone Pillon a dire che un padre deve poterne disporre a proprio piacimento, anche ricorrendo a quelle screditate e mortali "terapie riparative" promosse dal suo amichetto ex-prostituto o da quella pregiudicata che è solita giurare su Dio che l'omosessualità sarebbe un «comportamento» e non di un orientamento sessuale.

Ai giornali, l'assessore Silvia Nizzetto (al maschile perchè alle donne leghiste piace sia detto che il maschile vale di più) ha raccontato che la rete antidisceiminazione «diffondeva tematiche gender e richiedeva impegni vincolanti anche all'interno delle scuole, per noi il primo presidio educativo è la famiglia, con questo provvedimento la rimettiamo al centro».
Quindi, chi ha la sfortuna di avere genitori omofobi, verrà sacrifivato in nome di come il leghista dica che prima viene chi ha il diritto di voto. Tuo padre ti picchia? Cazzi tuoi, perché tuo padre vota e ai leghisti non interessa nulla di chiunque non gli porti un profitto personale.

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