Università di Verona. 160 firme contro le mistificazioni del Congresso integralista patrocinato dalla Lega


Se la dialettica populista pare far colpo su chi sta al bar a lamentarsi senza mai interessarsi realmente ai temi di cui parla, il mondo della cultura è un ostacolo assai più complicato da abbindolare. Se ne sta accorgendo la Lega, sempre più sola nel difendere l'indifendibile convegno omofobo e sessista organizzato per volontà del patriarcato di Mosca.
160 accademici dell'Università di Verona hanno sottoscritto un documento di condanna al "Congresso Mondiale delle Famiglie" che si terrà dal 29 al 31 marzo. Affermano che tale abominio debba essere ritenuto «espressione di un gruppo organizzato di soggetti che propongono convinzioni etiche e religiose come fossero dati scientifici»,chiarendo come tali convinzioni «vengono affermate come fondate scientificamente. Quando in realtà la ricerca internazionale non è mai giunta a questi esiti e li ha invece smentiti in diverse circostanze».
Precisando come loro siano «persone diverse per età, genere, origine, convinzioni politiche, fede religiosa. Unite dal lavorare nella stessa istituzione, l’università pubblica, una delle espressioni più autorevoli del sapere scientifico», spiegano che sotto accusa non è l'opinabile opinione personale dei singoli relatori, quando il loro tentare di spacciare per «immorali» o «innaturali» temi come l'omosessualità o la parità di genere.

Entrando nel dettaglio, il documento sbugiarda la propaganda di Toni Brandi e di Jacopo Coghe, spiegano che sia falso voler associare il calo demografico al fatto che la donna possa lavorare e fare carriera. motivo per cui non è certo recludendola in cucina che Pillon potrà ottenere una maggiore produzione di bambini italici da poter impiegare nella sua guerra di religione contro chi ha altri credo. E non va meglio con il tentare di sostenere che l'aborto sarebbe un «omicidio» dato che si tratta di una procedura che punta a salvaguardare il bene della donna, oltre ad essere una pratica perfettamente regolamentata dalla legge.
Ovviamente osservano che è folle cercare di sostenere che l'omosessualità debba essere vista come una sorta di «malattia» o che la si possa ritenere «contro natura», così come si spiega che non basta sventolare i titoli accademici che Silvana De mari è solita abusare per rendere vere teorie bocciate da ricercatori, docenti, ordini professionali, comitati etici ed associazioni accademiche che «hanno da tempo preso le distanze da queste credenze».
E non meno pericoloso è come i relatori siano tutti personaggi che arrivano da Russia, Ungheria e altri Paesi dell'est in cui vigono «politiche censorie rispetto al dibattito pubblico su questi temi e restrittive della libertà di ricerca e insegnamento universitari».
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