I lettori de Il Giornale: «I gay sono come i neri negli usa»


Anche Il Giornale ha dato notizia del primo supereroe gay che dovrebbe apparire in un film della Marvel e, da copione, è tra i commenti che i suoi lettori hanno dato libero sfogo alla loro omofobia.
Tralasciando il tizio che si mette a sbraitare che i gay sono onnipresenti davanti al primo supereroe gay tra i molti proposti nei decenni passati, la redazione del quotidiano ha validato e pubblicato un commento in cui leggiamo:

I diversamente attivi sono una piccola percentuale e ce li impongono in tutte le salse. Sono ormai come i neri negli usa. Non raggiungono il 20%, ma sembra che siano maggioranza. Non sarebbe tempo di smetterla?

La premessa è il solito insulto riservato ai gay, a cui si fa seguire un pensiero da suprematismo bianco al fine di arrivare a sostenere che non dovrebbero essere concesse rappresentazioni a qualunque persona non sia parte di una maggioranza. Sarebbe come lamentarsi se in un film ci fosse un'attore con gli occhi azzurri se la maggior parte delle persone hanno occhi scuri.
Ricorrendo alla dialettica del fondamentalismo cattolico, si sostiene pure che le persone gay verrebbero «imposte» in quella violenza in cui amano sostenere che non debba esserci spazio per chi è odiato sulla base di stupidi pregiudizi. Ancor più se si considera che un supereroe Marvel non è un attore di un film per soli adulti e che quindi il suo orientamento sessuale non potrà che essere ininfluente sulla trama.
L'impressione è che questi commenti, corredati dai soliti lettori de Il Giornale che teorizzano esistano un «noi» e un «loro», siano dimostrazione degli effetti devastati di quell'ideologia leghista per cui c'è chi si sente legittimato a sostenere che gli altri non debbano poter esistere se loro dicono si sentirsi infastiditi da chiunque non sia espressione di loro stessi, certi che il loro Salvini dirà che prima vengono loro e che gli altri possono anche morirsene in Libia. Al leghista medio non frega niente di nessuno che non sia lui stesso, motivo per cui risultano così sofferenti all'idea che gli altri non siano discriminati o ignorati dal cinema.
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