I CPR, l'inumanità e il business dei centri di reclusione per migranti


Un senza tetto in precarie condizioni di salute è stato arrestato dalla polizia perché sprovvisto di documenti. Rinchiuso in un centro di detenzione, ha subito uno stupro mentre i secondini hanno cercato di insabbiare le denunce degli altri detenuti. Gli hanno persino negato le cure mediche mentre lo hanno lasciato morire in isolamento.
Non è accaduto in un qualche dittatura del terzo mondo, è una cronaca che giunge dal CPR di Torino.La vittima si chiamava Faisal Hossai, era un bengalese di soli 32 anni.

A inizio giugno fu un giovane nigeriano ad essersi tolto la vita mentre era tenuto prigioniero presso il CPR di Brindisi, privato dalla sua libertà personale e condannato a subire una macchina repressiva e di controllo che macina milioni di euro. Ai prigionieri (chiamati surrealmente "ospiti") vengono negati molti dei più basilari diritti umani, a cominciare dal divieto a ricevere visite o di far valere il diritto fondamentale alla difesa legale.
Si tratta di vero e proprio business che è stato incrementato da quando Matteo Salvini ha prolungato il periodo di "trattenimento" a 180 giorni mentre ha spalancato le porte di quel mercato alle aziende private.
In Italia gli appalti sono gestiti dal ministero di Salvini e vengono assegnati sulla base del risparmio. Tra il 2005 e il 2011 il sistema di detenzione degli stranieri è costato un miliardo di euro, spesi in buona parte per la gestione dei Cie.
Per entrare in quel giro di affari le aziende devono proporre costi sempre più ridotti, rendendo inevitabilmente sempre più inumane le contestazioni in cui vengono detenuti gli stranieri a fronte della necessità di trovare un margine di guadagno.
Per fare un esempio, il gruppo Gepsa-Acuarinto che nel 2014 ha ottenuto la gestione del Cie di Torino dopo aver proposto tariffe del 20–30 per cento inferiori a quelle offerte dalla Croce Rossa. La Gepsa appartiene alla multinazionale dell’energia Gdf Suez e in Francia gestisce sedici carceri e dieci centri di detenzione in tutto il paese. In Germania opera anche l'European homecare, esclusa dalla gestione di Siegerland Buchbach nel 2014 quando si scoprì che alcuni sorveglianti dell’azienda avevano commesso abusi e torture sui richiedenti asilo.
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