Ora che Salvini esige i voti dei «colerosi che puzzano», la Padania ha smesso di esistere?


Chissà se Matteo Salvini abbia mai davvero creduto in quella fantomatica «Padania» che spergiurava esistesse mentre celebrava i suoi riti pagani sulle sponde delle «sacre acque del Po» sbraitando che lui non si sentiva italiano dato che schifava l'Italia.
Se è improbabile ma pur sempre possibile che un singolo individuo possa aver cambiato opinione verso le vittime dei suoi feroci e redditizio attacchi, meno chiaro è come sia possibile che tutti gli iscritti alla Lega Nord per l'indipendenza della Padania abbiano improvvisamente deciso che la Padania non esisteva e che il punto fondante del loro partito fosse una stronzata. Ci dicono ched dovremmo credere che, dall'oggi al domani, tutti i leghisti avrebbero improvvisamente cambiato i propri ideali non appena Salvini ha palesato la sua intenzione di usare un nuovo capro espiatorio contro cui riversare la rabbia da lui fomentata nella speranza di ottenere maggiori profitti grazie alla richiesta di voti anche alle precedenti vittime.
All'improvviso Roma non era più "ladrona" ma è divenuta una bella cittadina in cui andare in gita in cerca di poltrone. All'improvviso il Po non è stato più «sacro», sostitutivo dal «sacro cuore immacolato di Maria» a cui dedicare le navi da guerra schierate contro i bambini di 8 mesi che non vuole possano raggiungere le nostre coste. D'un tratto, tutti quei «padani» che volevano «pulirsi il culo col tricolore» hanno riempito i loro profili con bandierine italiane, da loro ritenute simbolo della loro fedeltà all'ex padano che ora dice di sentirsi il più italiano fra gli italiani dato che non va più in giro a canticchiare che «dal Po in giù l'Italia non c'è più». Lui, quello che dal cavalcare la paura verso la fantomatica «invasione» di Milano da parte dei «terroni» è passato cavalcare la paura verso la fantomatica «invasione» dell'Italia da parte presunti dei «clandestini» (che poi clandestini non sono, ma chiamarli col loro none forse non fomenterebbe sufficiente odio e disprezzo su cui lucrare).

È la storia della Lega a raccontarci che dietro quel partito non c'è nessuna vera idea, solo un'accozzaglia di slogan finalizzati ad alimentare e mettere a frutto l'odio e la frustrazione. Oggi si chiede fedeltà in nome della Padania, domani la si rinnega. L'unica costante è una dialettica che incita a compiere azioni contro qualcuno e mai per qualcosa. Non c'è un fine, non c'è mai uno scopo: tutto è invettiva, compiacimento della frustrazione, sfruttamento della povertà di pensiero.
I destinatari delle sue invettive possono essere modificati secondo la convenienza del momento, l'unica costante è il tentativo di legittimare i più bassi istinti di chi trasuda rabbia, vendendo loro la possibilità di poter incolpare qualcun altro per vite mediocri o insoddisfacenti.
Per vent'anni le emittenti di Silvio Berlusconi hanno creato e promosso invidia mostrando quanto fossero belle le case dei vip, quanto fossero giovani le fidanzatine dei ricchi, di quali lussi potessero concedere i potenti. Ora l'ideologia leghista mette a frutto quel martellamento mediatico, raccontando che sarebbe "colpa" di un qualche poveraccio che scappa dalla guerra se non ci si è potuti permettere tutto quello. Ovviamente diceva che fosse colpa dei meridionali se i lumbard non avevano strade lastricate d'oro e fontane di cioccolate per le vie del centro,  ma il "nemico" è solo un pretesto per dire che è colpa di qualcun altro come si faceva all'asilo quando non ci si voleva assumere le proprie responsabilità. Siamo al livello culturale del bambinetto che dice di aver preso l'insufficienza perché la maestra ha fatto domande troppo difficili e non perché lui non si p impegnato nello studio.

L'altra costante dell'ideologia leghista è il tentare di ottenere sudditanza creando un branco. Creando una presunta "identità" e invitano a unirsi coesi per cercare di sbranare chiunque sia esterno al loro cerchio magico. Oggi Salvini racconta la favoletta del «sovranismo», ieri chiedeva ai propri proseliti di creare una versione alternativa di Wikipedia in «lingua lombarda» perché gli invasori napoletani volevano rubare le loro tradizioni e la loro cultura.
Si cavalca la paura verso la diversità e si fa credere sia doveroso costruire alte mure attorno al proprio orticello, sostenendo che solo l'isolamento garantirà la possibilità di poter sfuggire al confronto e la fatica di dover confrontarsi con diverse culture. Praticamente è un ritorno alla città stato medioevale, con il leghista di turno che pretende di essere ritenuto il capobranco.

Ma forse, più di mille parole, a parlare dovrebbero essere i fatti. Non c'è occasione in cui Matteo Salvini non si auto-proclami capobranco prima di porsi come il tizio del bar che guida i cori razzisti degli ubriaconi. Cambiano le vittime, mai la ferocia o lo squallore:


E lui ride, ride, ride. Lui pare divertirsi nel vedere quanta cieca rabbia abbia creato, magari pensando a quanti soldoni si potrà portarsi in Lussemburgo se la metterà a frutto per i suoi interessi. Eppure basta aprire un social network, un giornale o anche solo scendere per strada per comprendere che quell'odio sta rendendo nauseabondo il clima sociale, fomentando una guerra tra poveri che rischia id lasciare un Paese devastato (ma a lui che gliene frega? Lui i suoi capitali se li è già portati all'estero).
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