Silvana De Mari chiede soldi per pagare le bravate dei suoi amici (e mente sulle ragioni delle sentenze)


Come se bastassero gli articoli criminali con cui la signora Silvana De Mari di presenta sulle pagine del quotidiano di Maurizio Belpietro ad invitare i genitori omofobi a non accettare figli gay in nome di come lei spergiuri si possa ordinare loro di essere eterosessuali, è dalla sua pagina di propaganda integralista che la fondamentalista chiede soldi per pagare la condanna per diffamazione contratta da un suo collega integralista.
Tralasciando come la signora abbia collezionato proseliti promettendo odio contro i gay per ora usarli come bancomat utile a pagare le conseguenze dell'odio della sua setta (e chissà se la finanza non avrà niente da dire su gente che paga esentasse qualcuno per ricompensare il suo odio), grave è anche come la signora De Mari voglia cercare di far passare l'idea che la giustizia sia sbagliata e che chi commette reati sia vittima di un sistema che non permette la calunnia e l'odio. Scrive:


Se il suo sostenere che la diffamazione sarebbe "libertà di opinione " apre le porte ad un'anarchia dell'odio, aberrante è come la sua premessa è che i giudici sbaglino sempre quando colpiscono persone aderenti alla sua setta. E semplicistica risulta anche la ricostruzione dei fatti, dato che la signora omette di dire che Quinto fosse il tesoriere di Radio Radicale.
Se poi si prova a leggere la sentenza, si comprende come l'intera ricostruzione della Signora De Mari abbia tutta l'aria di una falsa testimonianza. Il problema non è la definizione di "servo sciocco" ma come quell'espressione sia stata "motivata" attraverso quella che i giudici hanno ritenuto fosse «un’illegittima divulgazione di notizie afferenti la sfera privata del querelante, che quindi non hanno alcun rilievo rispetto al ruolo ed alla funzione pubblica esercitata dal medesimo [...] all'esclusivo fine di operare un gratuito attacco alla personalità morale del querelante».
E non pare esattamente "libertà di opinione" definire il querelante come «un lacchè dell’On. Pannella ‘acefalo, incapace di prendere qualsiasi decisione senza il previo consenso del suo padre-padrone», così come il condannato aveva fatto a pagina 74. E non è andata meglio con una lunga serie di informazioni private dei dipendenti del partito, vomitate con l'esclusivo intendo di diffamarli di promuovere odio contro di loro nonostante si trattasse di vicende estranee ai tempi politici.

Se la signora De mari vuole proprio raccogliere soldi per pagare la diffamazione politica, abbia quantomeno il coraggio di dire la verità sulla destinazione dei soldi che cerca di spillare ai suoi proseliti o ci sarebbe il rischio di iniziare a sentire la puzza del reato di truffa...
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