Coronavirus. Arrivano i parroci che metteranno a rischio la salute pubblica per dir messa


Per fermare il rischio di diffusione del Coronavirus, a Venezia è stato sospeso il Carnevale, le manifestazione sportive sono state allunate e in Veneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna le scuole sono state chiuse. In Lombardia e Veneto sono state chiuse anche le chiese e i vescovi hanno disposto un divieto alle celebrazioni eucaristiche dato che l'assembramento di più persone in un locale chiuso potrebbe risultare causa di contagi. Eppure, come troppo spesso accade, c'è chi ha voluto fare di testa propria come nel caso di don Ruggero Fabris. Il parroco di Airuno ha deciso di ignorare le disposizioni regionali e le decisioni dell'Arcivescovo, tenendo aperta la chiesa perché «nel momento più difficile e pericoloso il popolo deve ritrovarsi assieme, pregare e sentirsi unito e non abbandonato a se stesso». Peccato che nel caso del rischio di infezione, lo stare assieme è un rischio che viene inferto all'intera collettività.
Surreale è poi leggere come la sua azione venga proposta dei media locali come un qualcosa che è stato effettuato «sulla scia un po' di quello che fecero San Carlo durante la peste e il cardinale Ildefonso Schuster negli anni della guerra», fregandosene di come le chiese contribuirono a diffondere la peste.
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