Arcigay Chiesti chiede alla stampa di adottare un linguaggio rispettoso dei gay


È Arigay Chieti a proporre una riflessione sul linguaggio irrispettoso che una certa stampa è solito usare quando si parla contro la vita e l'esistenza delle persone lgbt:

Il recente caso di omofobia a Pescara sottolinea la concreta necessità di intervento delle istituzione nel contrasto all’omo-lesbo-bi-transfobia. L’episodio, raggiungendo le stampe nazionali, ha però riportato alla luce una questione che da diverso tempo proviamo a contrastare: l’utilizzo di parole e modalità non corrette e non rispettose nel raccontare episodi riguardanti la vita di persone LGBTI+.

Probabilmente è per scarsa conoscenza delle parole da associare a un fatto accaduto a Pescara qualche giorno fa che una testata del Giornalismo abruzzese ha commesso un errore. Non dobbiamo mai dimenticare che le parole, se associate alle persone, riguardano le persone. Le parole riguardano le quotidianità, le esistenze delle persone. Il fatto che vogliamo riportare è correlato al brutale episodio di omofobia avvenuto il 26 giugno. Un 25enne è stato brutalmente pestato a sangue da alcuni adolescenti in pieno centro a Pescara, dopo essere stato visto passeggiare nei pressi della Nave di Cascella mano nella mano con il suo compagno. Quello che riporta Il Messaggero, di tutto questo, e del portato emotivo e doloroso che un atto simile comporta, è: “Pestaggio del gay. Infuria la polemica”.

“Il gay”, come entità astratta spersonalizzata e spersonalizzante. “Il gay”, che possiamo essere tutti e poi non è nessuno. “Il gay” che è una persona, che probabilmente studia, o lavora, che ama, che è figlio o figlia, o nipote, o zio, che è fratello o sorella, che ha una storia, la sua storia unica e irripetibile. Una storia di vita nella sua società, nel suo paese, nella sua città, nel suo Stato. La vita di questa persona ha diritto a svolgersi nella serenità, nella libertà di amare, nella giustizia. Questa persona ha subito un atto ignobile, dettato da un odio che allontana tante e tante vite dalla serenità, dalla libertà, dalla giustizia. Un odio che non va banalizzato con una spersonalizzazione etichettante, un odio che non deve relegare in un angolino delle parole disattente la realtà delle persone che ne sono bersaglio, un odio che va sconfitto con le parole, che fanno Cultura e accendono la luce dove c’è il buio. Quel ragazzo è stato bersaglio di un atto omofobo, che ne ha minato la sicurezza e persino la salute. Un atto che sconvolge l’uguaglianza, che tenta di intimorirla. Aiutiamo a capire la realtà, aiutiamo, con la forza delle parole che è il grande potere del Giornalismo, a capire che quel ragazzo è stato pestato per omofobia, per l’odio dell’altro che sembra diverso e in realtà è soltanto differente, differente come lo siamo tutte e tutti le une dagli altri, già prima di chiamare in causa sovrastrutture e ghettizzazioni. Ebbene, per aiutare a comprendere la realtà, per accendere un po’ di luce, sarebbe bastata più attenzione alle parole: invece di “pestaggio del gay”, si sarebbe potuto optare per un più realistico “pestaggio omofobo” o “omofobia in pieno centro”. Così si sarebbe stimolata la coscienza collettiva a capire che vuol dire “omofobo”, e quanto contino i diritti, e quanto si soffra senza.

“Le parole sono importanti” ci dice l’Arte in più modi. È importante come si scelgono e l’utilizzo che se ne fa affinché facciano passare il messaggio nel modo più corretto possibile. Sì, le parole richiedono attenzione. Un’attenzione che è ancora più importante quando le parole si usano per descrivere la realtà, per raccontare gli eventi, come accade con il Giornalismo il cui dovere è quello di raccontare la realtà. Altrimenti, se peccasse di disattenzione nella scelta dei termini con cui narra di un evento, finirebbe per dare di quell’evento un’immagine non adatta al reale che vuole descrivere.

L’altro grande compito del Giornalismo è quello di veicolare una Cultura della conoscenza, portando luce laddove c’è il buio e l’ignoranza. Anche per questo secondo scopo, le parole sono essenziali. Non si può apportare conoscenza su un fatto, se di quel fatto si scrive male, con disattenzione alle parole utilizzate. Che il Giornalismo scelga male le parole, e così facendo racconti male la realtà e veicoli male una conoscenza, alle volte accade. Casomai per sbadataggine, o per scarsa conoscenza del fenomeno di cui va a scrivere.

L’invito che rivolgiamo al Giornalismo della Nostra Regione è quello di fare attenzione alle parole utilizzate, sono troppe le volte che leggiamo spersonalizzazioni delle persone in un titolo di giornale o l’utilizzo di pronomi errati nel parlare di persone transgender. L’uso scorretto delle parole può acuire quella che per alcune e alcuni è una sofferenza già grande. Che il mestiere di Giornalista offra l’occasione di utilizzare le parole per fotografare la realtà è un dono prezioso che non va sprecato. I circoli Arcigay d’Abruzzo si rendono disponibili nel formare i giornalisti e le giornaliste abruzzesi per un utilizzo consapevole, rispettoso e giusto delle parole.
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