Il Giornale inveisce contro l'inclusività di Hollywood


Pare non passi giorno senza che Il Giornale non se ne esca con un qualche articolo che possa strizzare l'occhio all'intolleranza. In quel loro proporsi come populisti a cui la diversità dà fastidio, se ne sono usciti con un surreale articolo di Alessandro Gnocchi dal titolo "Vietato fare un film da Oscar senza neri, gay, lesbiche e disabili".
Ovviamente sarà solo un caso che la loro lista di proscrizione includa tutte quelle minoranze che sono state costrette a subire la schiavitù o i campi di sterminio nazisti, ma non pare far ridere il loro esordire scrivendo:

C'erano una volta un bianco, un nero, un giallo, un indiano d'America, una lesbica, un gay e un disabile... In futuro, i film cominceranno tutti così, per rispettare le nuove norme anti-discriminazione pubblicate martedì sulla pagina ufficiale della Academy, che assegna gli Oscar.

Inveendo contro un regolamento che mira a garantire esclusività nel film o nel cast tecnico, l'articolo passa ben presto a cercare di deridere un tema che pare di scarsi interesse per i populisti eterosessuali bianchi:

Secondo questi criteri, posti a tutela del politicamente corretto, Il grande dittatore di Charlie Chaplin, capolavoro del 1940 e atto d'accusa contro il totalitarismo nazista, oggi non potrebbe correre nella categoria miglior film degli Oscar. Non vorremmo essere nei panni di chi vuole realizzare un film sui vichinghi, potrebbe rivelarsi un'impresa impossibile. Che dire poi dei film in costume? Nel Dottor Zivago non ci sono afroamericani o indiani d'America, che si fa? E Il nome della rosa, ambientato in un monastero del Medioevo, senz'altro carente di quote rosa? Aggiungiamo una suora (possibilmente gender fluid) di origini nigeriane? George Orwell, nell'aldilà, sta morendo d'invidia, tutto questo sembra un capitolo espunto dal suo 1984. Non vince il migliore e basta. Vince il migliore tra chi tiene conto di origine, genere, orientamento sessuale e disabilità dei partecipanti, davanti e dietro la cinepresa. Risultato prevedibile: perdita di autorevolezza e interesse del premio in questione, «film» già visto, in piccolo, nel campo letterario.

Ed è così che la loro retorica si sposa sempre e implacabilmente sul sostener che i diritti degli altri siano un attacco ai privilegi di cui gode il maschio eterosessuale bianco.
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