Nino Spirlì con il rosario in mano: «Dirò “neg*o” e “fr*cio” fino all’ultimo dei miei giorni»


C'è gente che dedica la propria vita a combattere i cambiamenti climatici o a contrastare la fame nel mondo. Poi ci sono quelli che inveiscono contro chi salva vite umane nel Mediterraneo, per i quali la priorità è difendere chi insulta gli altri. E dato che nella Lega di Salvini paiono andare di mota i nigeriani che promuovono razzismo e i gay che sostengono l'omofobia, ecco che due "gay di destra" paiono spintonarsi per mostrarsi al padano come quelli che per lui "difendono" chi usa termini dispregiativi per etichettare gay e persone di colore.
Rilanciato dall'organo di stampa di Fratelli d'Italia, è il solito Nino Spirlì a cercare di compiacere i pregiudizi populisti sbraitando che lui esige di poter usare parole che offendano gli altri. Lo ha fatto in qualità di giornalista de Il Giornale e di vicepresidente della giunta calabrese:


Secondo copione, l'aspirante candidato populista Ferdinando Tripodi si è subito affrettato a precisare che anche lui vuole essere apostrofato con termini dispregiativi, raccontando che la sua vocazione da "gay di destra" lo porta in piazza con Giorgia Meloni in difesa dei crimini d'odio di matrice omofoba e a esigere che nel suo nome altre persone siano apostrofare con termini dispregiativi ed offensivi:


Se pare folle osservare come Tripodi neghi che le parole possano essere violente dato che si sa da secoli che la penna può ferire più della spada, surreale è come l'articolo di Fratelli d'Italia esulti davanti ai «fr*ci» di destra che vogliono che la gente dica alle lor mamme che loro figlio è un «fr*co». Poi però piagnucolano se qualcuno etichetta loro come «fascisti». Scrivono:

Una botta micidiale al “politicamente corretto“. Che però non arriva (botta numero due) da esperti in gare di rutti e peti o da habituè delle sagre del pecoreccio. E neanche da un cultore dei film di Checco Zalone, ma da un intellettuale raffinato e libertario che per raccontare se stesso ha scritto il "Diario di una vecchia checca". Si chiama Nino Spirlì ed è –ecco la botta che stende definitivamente i radical-chic ancora in piedi– assessore leghista nella giunta calabra guidata da Iole Santelli.

Sostenuto che l'unico gay che piace alle destre è quello che si fa insultare, l'articolo parte con un patetico inciso in cui non si capisce perché dicano che se non si può usare la parola «neg*o» allora Iva Zanicchi non avrebbe potuto cantare "Prendi questa mano zingara". Ed è di populismo in populismo che arrivano ad affermare:

Canzoni così oggi sarebbero vietate dalla censura, non dichiarata, ma ben attiva ed operante, del politically correct. Un muro gommoso e dolciastro quasi impossibile da perforare con il ragionamento. Ma a volte c’è più forza argomentativa in una provocazione che nella logica. Così almeno avrà pensato Spirlì, allevato in una famiglia liberale, prima del suo pirotecnico finale. Eccolo: «Nessuno mi può venire a dire “non puoi dire che sei ricchione” per dire che sei “ricchione”, perché sei omofobo». Perciò, ha aggiunto, «guai a chi mi vuole impedire di usare la parola ricchione per dire che sei ricchione». La conclusione è da ola: «Non c’è cosa più brutta della lobby “frocia”, quella a cui dovrei appartenere io. Dirò “negro” e dirò “frocio” fino all’ultimo dei miei giorni».

E se quel fr*cio, ricchione e checca di Zirlì si eccita ad essere insultato non si capisce si quali basi il fatto che quel piccolo piccolo manipolo di "gay di destra" chiede di essere insultato dovrebbe legittimare i fascisti e i leghisti ad insultare anche chi pretende rispetto.
Dopo gli insulti, Spirlì ha tirato fuori un rosario dalla tasca per omaggiare Salvini, in un atto di evidente blasfemia dato che le sue parole appaiono come l'antitesi del cristianesimo.
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