Gli abusi subiti dai figli dei partecipanti della Manif pour tous. Alcune vittime hanno anche tentato il suicidio


«Non capivo cosa ci facessi lì, volevo giocare con i Playmobil». È quanto dichiara a Le Monde uno dei bambini trascinati dai suoi genitori alle manifestazioni omofobe della La Manif pour tous.
La vittima del fondamentalismo spiega che «aveva otto anni e i suoi fratelli nove e tre anni, quando sua madre li portò a un raduno de La Manif pour tous a Lione». Era il marzo del 2013 quando fu costretto a protestare contro il matrimonio egualitario: «Davvero non ho capito niente. Non avevo mai sentito parlare di omosessualità», aggiunge.
Ma non era il solo. Un altro bambino spiega che sua madre lo incoraggiò a sostenere che l’unica famiglia possibile «fosse un padre, una madre e dei figli» in virtù di come quello fosse «l’unico modello che conoscevo». Fu così che si ritrovò ad un raduno de La Manif pour tous: «Avrei preferito restare a casa per continuare a leggere», ha dichiarato a Le Monde, spiegando come ai tempi avesse solo dieci anni. Stesso discorso per una bambina che il 24 marzo 2013 venne portata da sua madre a Parigi per manifestare contro il matrimonio egualitario: «Diverse persone urlavano insulti omofobi, avevo mal di testa», spiega. Lei non voleva insultare le persone e «quindi ho fatto apposta un passo indietro per non urlare. Se mia madre mi avesse visto, mi avrebbe costretto».
Le vittime del fondamentalismo ricordano con orrore la ferocia che porto i loro genitori ad abusare di loro contro altri. Una ragazza spiega che sua madre le «ha parlato di “omosessuali degenerati”, “malati di mente”», dicendole che erano lì per protestare e per «impedire agli uomini gay di commettere un peccato mortale agli occhi di Dio sposandosi».

Ma il problema è nato quando alcuni bambini usati dal fondamentalismo organizzato hanno scoperto di non essere eterosessuali come esigevano i loro genitori. Improvvisamente erano loro ad essere i “degenerati” e i “malati di mente” contro cui mamma papà sbraitavano insulti con isterica violenza.
«Mi resi conto di quanto fosse stata violenta e odiosa questa manifestazione. Ho realizzato soprattutto l'impatto che avrebbe potuto avere su di me», spiega una di quelle vittime. La stessa sorte è toccata a chi racconta che «dai 15 ai 18 anni piangevo ogni notte nella mia stanza e pregavo per un cambiamento» confessa. Dichiarare la sua bisessualità ai genitori era impensabile: «So che se lo scoprono, mi taglieranno i viveri».
Non male per quei violenti che cercavano consensi urlando «giù le mani dai bambini» mentre molestavano i loro stessi figli.

E se Jacopo Coghe ha fatto soldi e cartiera partecipando a quelle deviate manifestaziomi di incitamento all'odio, non è chiaro se abbia detto ai suoi figli che i soldi con cui ha comprato i loro giocattoli arrivino da manifestazioni che hanno spinto le sue vittime a tentare il suicidio.
Una vittima spiega: «Ho iniziato negando apertamente, non poteva essere vero. Ma, in fondo, sapevo molto bene di mentire a me stesso. Mi odiavo ancora di più, alcune notti ho pianto, volevo “ripararmi”». Poi, quando ha capito di essere lesbica ha tentato il suicidio: «Una notte ho preso molte medicine, ma non ha funzionato. Penso che sia stato un grido di aiuto». «C'è anche molto sessismo a La Manif pour tous, oltre a omofobia e transfobia. Ma non volevo diventare come le donne della mia famiglia. Ho capito che il matrimonio con un uomo non faceva per me».

Le testimonianze proseguono con chi dichiara: «I miei genitori hanno divorziato nel 2013 e oggi ho pochi contatti con mio padre, che era violento. Sono in totale contraddizione con i valori che difendono e non sono gli unici» riporta ancora il quotidiano francese.
C'è poi chi denuncia le strumentalizzazioni dei neocattolici francesi a danno dei bambini: «Sono messi in scena sui carri, mentre non hanno idea di chi sono e di cosa sono. Di cosa diventeranno». Ed ancora: «Essendo io una vittima diretta dell'indottrinamento che organizzano sui bambini, penso davvero che La Manif pour tous faccia molto male».
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