Su richiesta di Gandolfini e Amato, la Lombardia leghista calpesta i diritti delle donne


È dalle pagine della solita Nuova Bussola Quotidiana che Gianfranco Amato plaude ad una Lombardia leghista contraria alla tutela della salute delle donne.
A quasi 40 anni dall’entrata in vigore della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, infatti, le donne trovano ancora molte difficoltà a vedere riconosciuto il proprio diritto ad un aborto legale e sicuro. Sono spre più preoccupanti le stime sull’aborto clandestino e, in particolare, sull’assunzione di farmaci acquistati online che vengono assunti senza alcun controllo medico. Per questo l'Associazione Enzo Tortora, i Radicali Milano e l'Associazione Luca Coscioni avevano proposto una legge si iniziativa popolare che garantisse l'accesso sicuro alla contraccezione di emergenza o all'interruzione volontaria di gravidanza per le donne lombarde.
A spiegarci com'è andata è proprio Gianfranco Amato, il quale pare eccitato all'idea che le donne lombarde saranno private dai loro diritti. Scrive infatti:

Lombardia, il Consiglio regionale ha bocciato una proposta di legge di iniziativa popolare denominata “Aborto al Sicuro”. Si trattava di un testo, promosso da Pd e M5S che avrebbe reso più spedita la pratica di aborto e limitata la libertà di obiezione di coscienza dei medici. Ed era basata unicamente su affermazioni ideologiche e dati confusi

Sostenendo che la privacy del medici dovrebbe avere la precedenza sul diritto delle donne ad accedere a diritti sanciti dalla legge, prosegue:

Col pretesto di monitorare la «disciplina dell’applicazione della Legge 22 maggio 1978, n. 194, nel territorio della Regione Lombardia», la proposta mirava, in realtà, ad attaccare il diritto dei medici di esercitare l’obiezione di coscienza e a diffondere i mezzi contraccettivi a tappeto, anche mediante un impianto sottocutaneo (LARC) che potesse garantire la sterilizzazione.
L’iniziativa si articolava, sostanzialmente, su quattro direttrici. Primo, «la creazione di un Centro Regionale di Informazione e Coordinamento» che, come compito principale, di fatto, aveva quello di «monitorare» il diritto all’obiezione di coscienza dei medici, registrando le «evidenze in ordine ai rapporti numerici tra personale obiettore e non obiettore nelle singole strutture e la loro posizione contrattuale». Con buona pace, peraltro, del diritto alla privacy. Secondo, consentire la possibilità che «i farmaci prescritti per l’interruzione farmacologica della gravidanza fossero proposti e somministrati anche dai consultori familiari». Terzo, prevedere «il ricovero in giornata delle donne che scelgono l’interruzione farmacologica della gravidanza». Quarto, consentire il fatto che «alle donne che abortiscono vengano offerti dall’ospedale farmaci e dispositivi contraccettivi, compresi quelli a lungo termine reversibili, quali i dispositivi intrauterini al rame o medicati e gli impianti sottocutanei».

Insomma, tutte proposte di buonsenso che Amato ci tiene a farci sapere non piacessero a Massimo Gandolfini:

Il 4 dicembre 2019 presso la III Commissione consiliare “Sanità e Politiche Sociali” della stessa Regione Lombardia fu espletata un’audizione di alcune associazioni pro-life come il Movimento per la Vita, il Comitato Difendiamo i Nostri Figli, e i Giuristi per la Vita. In quell’occasione, grazie anche alla disponibilità del Presidente della Commissione dott. Emanuele Monti, fu concessa l’opportunità di offrire significativi dati ed elementi di carattere scientifico, giuridico, medico, e sociale, derivanti dall’esperienza pluridecennale dell’associazionismo pro-life italiano. Il punto interessante di tutta la vicenda è proprio questo, ovvero l’importanza del supporto in termini di informazione alla politica da parte di chi vive quotidianamente l’esperienza della difesa della vita in ambito medico, in ambito legale e in ambito sociale.

Pare curioso che Amato sostenga che a detenere la verità sui diritti delle donne siano associazioni che si dichiarano fondate sulla loro contrarietà al loro diritto di scelta. Un diritto che, almeno sulla carta, dovrebbe essere garantito dalla legge.
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