Non solo crimini d'odio. Gli adinolfiniano chiedono che il loro leader sia dispensato anche dal codice penale


Secondo gli adepti di Adinolfi, il far presente che alcuni suoi insulti parrebbero rientrare nel reato penale di diffamazione aggravata significherebbe "minacciare il ricorso alla leva penale per zittire l'interlocutore". A tanto pare sia ormai arrivata la loro mistificazione dei fatti, mostrandoci i motivi per cui quella gente pare non provare vergogna a giurare che i crimini d'odio sarebbero "libertà di espressione" o che il contrasto ai reati penali sia un atto "liberticida" o "fascistissimo" così come ama sostenere il loro leader.
A sostenere la surreale teoria è Gabriele Mrconi, il quale ha ovviamente omesso di raccontare come Adinolfi abbia ripetutamente cercato di azzittire i suoi interlocutori dicendo che solo lui può citare il Papa e che gli altri non devono poter esprimere le loro opinioni se lui non gli ha dato senza chiedergli il permesso.
Marconi accusa Cecchi Paone di "Minacce" perché ha fatto notare che la frase in cui Adinolfi lo accusava, neppure troppo velatamente, di essere un "trafficante di bambini" era passibile di querela. Ed è difficile dargli torto, dato che quello è stato un insulto grave, che nessuno dei presenti si sarebbe mai permesso di rivolgere a lui. Ma anche questo aspetto viene omesso, preferendo ribadire che loro vogliono insultare e molestare chi vogliono senza pagarne le conseguenze.

Il commento deve essere piaciuto molto al signor Adinolfi, portandolo a rilanciare lo sproloquio sul suo profilo social:



Peraltro denunciare chi commette un reato è un diritto e un dovere di ogni cittadino. Solo la mafia (ed forse anche Adinolfi) minacciano chi non è omertoso. E sinceramente è difficile comprendere perché gli adepti scrivano tutto questo citando il ddl Zan, anche perché il reato di diffamazione non ha nulla a che vedere con quel progetto di legge.
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