Tra Adinolfi e Pillon, è gara nello sciaccallaggio del feretro di Archie Battersbee

Ci spiace per Mario Adinolfi, ma Archie Battersbee non era un «bambino disabile» come sostiene lui. Era un bambino in coma vegetativo, con danni irreversibili al cervello, che subiva inutili terapie che stavano portandolo a maturare danni fisici che stavano compromettendo la sua dignità.
E sicuramente non era neppure un giocattolo di cui Adinolfi può liberamente disporre nella speranza di trarre profitto elettorale, peraltro cercando di negare la verità dei fatti pur di ottenere facili consensi:



Il Regno Unito prevede che lo stato tuteli gli interessi dei minori anche quando i loro genitori non sono in grado di essere lucidi nel prendere decisioni così difficili. Non esiste alcuna fantomatica «soppressione di disabili» ed è indecente il suo citare Hitler. Ed ovviamente nemmeno qualcuno guarda ai costi come giura lui, dato che il principio è che i diritti dei minori vengano prima dell'egoismo dei loro genitori. Adinolfi promette che lui torturerebbe le sue figlie se le trovasse con un cappio al collo come accaduto ad Archie, ma è da tutto da verificare che loro ne sarebbero felici.
Finalmente Archie ha ottenuto il diritto di potersi spegnere con dignità, Adinolfi giura che lui non lo avrebbe permesso.

Pillon, invece, dice che l'Italia si era offerta di torturare il minore, anche se non avrebbe avuto senso decidere per il bene dei bambino se poi lo si fosse consegnato a chi voleva torturarlo. Ed ovviamente il caso non ha alcun legame con il ddl sull'eutanasia o con il ddl Zan, anche se Pillon pare voler usare il bimbo morto per inveire contro le sinistre:



Il leghista inizia così a dire che lui ne avrebbe impedito la morte con le sue inapplicabili leggi contro i sociali network, ovviamente promettendo che lui la riproporrà. Peccato che nessuno sappia se davvero il bimbo avesse davvero partecipato ad una challange, anche se il senatore leghista ama dare per certo tutto ciò che torna utile alla sua propaganda.
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