Torna la guerra di potere tra Adinolfi e Coghe. De Carli vuole che la Meloni dica che i gay sarebbero anormali

L'adinolfiniano Mirko De Carli pare davvero insopportabile nel suo sostenere che il termine "cattolico" debba essere ritenuto sinonimo di "omofobo". Ed è opinabile il suo dire che Jacopo Coghe andrebbe definito "cattolico" solo perché lui si auto percepisce tale, nonostante parrebbe lecito mettere in dubbio quella sua identità auto percepita dato che le sue azioni non paiono congruenti con i Vangeli. Ma se per loro vale la regola per cui ciò che loro credono di essere non va messo in discussione, contro le perone transessuali chiedono che si vieti per legge il rispetto perché loro i rifiutano di accettare la loro identità, peraltro congruente e spesso appurata anche dei medici.
De Carli si premura anche di attaccare la Meloni, dicendo che il partito di Mario Adinolfi non vuole la «la normalizzazione lgbtq». Chiarisce dunque che loro vogliono che gay e persone transessuali siano ritenute anormali, sbagliate, degne di quella violenza che loro hanno difeso attaccando il ddl Zan. Ed ovviamente cita quella inesistente «ideologia gender» che è stata creata dalla propaganda evangelica statunitense di estrema destra, da loro abusata come strumento per cercare di giustificare l'odio omofobico e la loro ideologia:

Interessante è l'evidente riferimento alle petizioni di Provita Onlus, volte a chiedere alla loro Giorgia Meloni l'approvazione di leggi anti-gay che impongano discriminazioni e privazione delle libertà individuali. Pare dunque sia in atto una nuova battaglia di potere tra gli omofobi di Adinolfi e gli omofobi aderenti a all'organizzazione forzanovista, come già avvenne quando Adinolfi fondò il suo partito sperando di poter mettere a frutto le piazze di Gandolfini per ottenere un profitto personale.
Ed è infattidal 2016 che tra neocatecumenali ed adinolfiniani è in atto una guerra atta a cecare di accaparrarsi il primato nel business dell'omofobia:

Il bello è che e entrambi si dicono "cristani" mentre si tirano i capelli fra loro per determinare chi debba fare più soldi con il business dell'omofobia.