I maschilisti che credono nel "gender" mentre inveiscono contro i Black Lives Matter


Gli autori del blog La Fionda, ossia un ricettacolo di maschilisti che attaccano ogni contrasto alla violenza sulle donne, hanno pubblicato una serie di cosiddetti "articoli" volti a sostenere l'esistenza di quella fantomatica "ideologia gender" che Giorgia Meloni cita sempre pur ammettendo di non sapere di che cosa si tratti. E scrivono:

“Il gender non esiste”. Questo è quello che vogliono farvi credere attivisti e lobbysti GLBTIQ+, accusandovi di “complottismo”, con qualche risatina, ogni volta che si parla di teoria o ideologia gender. Purtroppo, invece, la gender theory esiste eccome: ci sono perfino corsi e manuali universitari ad attestarlo. La gender theory deriva dal campo di discipline note come gender and queer studies, che analizzano mascolinità e femminilità a partire dall’assunto che siano meri costrutti sociali, fortemente influenzati dalle contingenze storiche, ambientali, economiche e allo stesso tempo analizzano la complessità della sessualità umana ipostatizzandola in “identità” congenite, fisse e immutabili.

Se fosse vero quello che scrivono, finalmente potremmo scoprire cosa sia quel fantomatico spettro "gender" che le lobby omofobe agitano in continuazione. Ma dato che Jacopo Coghe accusa di "gender" anche tutto ciò che riguarda i gay, pare evidente che la loro invenzione non abbia nulla a che fare con quello che dicono loro.

Passano poi ad usare propagandisticamente i bambini, sostenendo che qualcuno li "mutilerebbe". EIn un paragrafo intitolato le mutilazioni ai minori", scrivono:

Si usa il cavallo di Troia di progetti nominalmente dedicati alla buona causa dell’educazione alla tolleranza reciproca e all’“inclusività” per portare l’indottrinamento al culto gender nelle scuole (qui un sommario dei progetti arrivati nelle scuole italiane), anche attraverso manuali e libri per bambini e ragazzi con messaggi e disegni sessualmente espliciti. Se in passato la medicalizzazione per il cambio di sesso era una faccenda riservata agli adulti, con la diffusione del “protocollo olandese” (Dutch protocol) si è sempre più sdoganato l’uso di ormoni bloccanti della pubertà nei bambini e adolescenti fin dai 12 anni.

Insomma, si inventano che l'educazione al rispetto corromperebbe i minori, confondendo operazioni chirurgiche con bloccanti della pubertà, utili solo a ritardare i tempi e rendere meno evasive operazioni svolte in età adulte.
Ovviamente citano come "prova" delle loro asserzioni i documenti redatti dall'organizzazione forzanovista Provita Onlus, ossia del gruppo di estrema destra che ha promosso e diffuso la bufala "gender". Ed è citando la loro propaganda che cercano ppersino di sostenere che i gay vogliano "omosessualizzare" i bambini:

Ma le mire degli attivisti gender puntano ad anticipare il più possibile e a cominciare la “transizione sociale” dei bambini fin dalla più tenera età, per essere sicuri di non perdere mai più l’appartenenza dei nuovi adepti – mentre il fenomeno di coloro che si pentono del proprio “transgenderismo”: i desisters (coloro che rinunciano alla transizione) e i detransitioners (coloro che si pentono della transizione conclusa o avviata, dato che in molti suoi aspetti le conseguenze sono irreversibili), è in costante crescita nei numeri e nella consapevolezza pubblica. Un noto detto attribuito ai gesuiti recita: «portateci un bambino entro i 10 anni di età e ne faremo un gesuita per tutta la vita».

A quel punto, iniziano a dire che loro esigono che si danneggi la vita degli altri perché se a Jacopo Coghe manifesta certe pulsioni, a loro non sta bene che si abbia rispetto di chi non è come lui:

Non è sufficiente riconfigurare il modo in cui le persone pensano e comunicano tra loro quotidianamente: occorre, per arrivare alla piena giustizia sociale woke, riconfigurare l’intero spazio del vivere comune, in modo che non contenga riferimenti al binarismo sessuale maschio-femmina, ma diventi “inclusivo”, appunto, verso individui di ogni “genere”. Quindi bisogna far piazza pulita del binarismo ovunque capiti di incontrarlo nella società: ad esempio nello sport, dove capita sempre più spesso che uomini che si sentono donne, gareggiando nelle categorie femminili conquistino il podio, nei bagni pubblici, nelle carceri, nelle scuole e università dove si spinge sempre più per l’adozione di quella che in Italia è chiamata “carriera alias”, la possibilità degli studenti (fin dalla scuola media) di essere riconosciuti e trattati da docenti, compagni e personale scolastico secondo il “genere” di loro elezione (e guai a opporsi). Agli attivisti del gender non importa che le differenziazioni legate ai due sessi siano profondamente innervate nella nostra biologia, nella nostra natura, che ci siano profonde ragioni storiche per cui si è arrivati a costruirle e mantenerle nelle strutture architettoniche e legislative delle nostre società, che la condivisione degli stessi spazi può portare a disagi e ingiustizie e aggravare la perpetrazione di molestie e violenze.

Se è delirante il loro sostenere che le violenze sarebbero colpa di chi non promuove sessismo, neppure chiariscono cosa dovrebbe c'entrare la storia con i distinguo che loro vorrebbero imporre. L'unica cosa evidente è il loro fastidio davanti a chi non discrimina come Putin comanda, urlando che agli adolescenti trans andrebbe negato ogni rispetto come chiede Jacopo Coghe.

Confondendo l'identità di genere con il sessismo, iniziano a lamentarsi di chi dice che il maschio non è superiore alla donna:

Non solo: occorre far sì che persone di ogni “genere” abbiano, non già uguali opportunità di accedere a ogni forma di carriera e di espressione di sé nella convivenza sociale, ma bensì uguale effettiva rappresentanza, in ogni ambito sociale, in ogni professione, in ogni ruolo (eccetto quelli scomodi e faticosi, quelli li lasciamo fare ai “maschi bianchi etero-cis”: dopo millenni di oppressione, se lo meritano).

Strizzato l'occhio ai razzisti, iniziano a recitare a pappagallo la peggior propaganda repubblicana:

Il culto gender, pur essendo parte integrante dell’ideologia woke, non ha mancato di suscitare critiche, malumori e movimenti di opposizione interni agli stessi movimenti di rivendicazione legati ad altre “minoranze oppresse”: la pervasiva appropriazione degli spazi pubblici riservati alle donne suscita ad esempio l’indignazione delle femministe “radicali” che, essendo non intersezionaliste, vengono dispregiativamente ribattezzate “TERF” (trans-excluding radical feminists, “femministe radicali che escludono le donne transgender”), gruppo con cui paradossalmente l’autore di questo articolo finisce talvolta, nelle proprie battaglie gender critical, per trovarsi d’accordo… Allo stesso modo occorre ristrutturare alcuni concetti chiave della queer theory, come la definizione di omosessualità, al fine di “includere” i “corpi transgender”. Una lesbica non ha più diritto di definirsi come “donna attratta esclusivamente da altre donne”, perché “donna” dev’essere considerato chiunque si identifichi come tale in base al proprio “genere”, in quanto attributo immateriale, quindi indipendente da caratteristiche biologiche tipicamente maschili. E perciò la brava lesbica intersezionalista e obbediente al credo gender dovrà lasciar andare il “cotton ceiling”, la “barriera di cotone”, che il membro virile dell’individuo “translesbico” (che si sente donna per “identità di genere”, e quindi lesbica in quanto attratto da donne, ma fieramente portatore di un pene) cerca invano di penetrare. Un gay va bene se per “gay” si intende un individuo attratto da chi si identifica nel proprio stesso “genere” (a prescindere dalle sue caratteristiche fisiche), mentre va rieducato al culto gender, se insiste a sentirsi attratto solo da individui del proprio stesso sesso.

Se simili deliri dovrebbero portare gli autori dell'articolo a prendere in considerazione il ricorso ad un bravi psicologo, è solo dopo aver elogiato gli interventi di Marina Teragli alle audizioni di Pillon che iniziano a dire che gay dovrebbero odiare le persone trans e nutrire disprezzo verso chi è di colore:

A ben vedere le rivendicazioni dei “transgender” con le semplici preferenze sessuali hanno davvero poco a che fare, e sono piuttosto i cavalli di Troia dell’ideologia gender nei movimenti omosessuali. Con vantaggi solo a un senso. È innegabile infatti che sia stata proprio l’associazione spuria con i movimenti per i diritti degli omosessuali a garantire alle rivendicazioni legate al gender il successo che stanno avendo: facendo leva sul senso di tolleranza, inclusività e apertura della grande maggioranza delle persone, e sul sottile senso di colpa instillato nei “privilegiati” eterosessuali data la nostra società “eteronormativa”, per far sì che la massa garantisca a queste rivendicazioni (su cui i media fanno un’informazione orientata) il proprio consenso più o meno tacito, spesso senza coglierne le profonde differenze e i falsi ideologici sottesi. D’altra parte è proprio attraverso il collante della politica identitaria e della narrazione vittimista della discriminazione onnipervasiva e sistemica di determinate minoranze che il wokeismo può mantenere al proprio interno tante anime: come testimonia la costante estensione della bandiera-simbolo delle rivendicazioni omosessuali, originariamente un semplice arcobaleno, ora diventata un inquietante accrocchio di forme e colori per via delle rivendicazioni “transgender”, “asessuali”, “intersex” e perfino del Black Lives Matter.

Ovviamente si lamentano che le persone trans non siano ritenute malate di mente come loro vorrebbero, è lamentandosi di chi non dice che anche l'omosessualità dovrebbe essere ritenuta una "malattia" che scrivono:

Ecco allora che anche la disforia di genere diventa qualcosa da rivendicare e celebrare: grazie a questo sottile meccanismo, essa è stata de-patologizzata nel 2019, cavalcando la rivendicazione del presunto diritto a slegare la propria “identità” dall’etichetta stigmatizzante della patologia mentale. Proprio come accaduto per l’omosessualità nel 1990, in seguito alla precedente decisione (1973) in questo senso dell’APA, American Psychiatric Association, di toglierla dal DSM-II – ma non senza la persistenza di dubbi nella comunità scientifica. (Si veda, ad esempio, la critica dei fondamenti politici piuttosto che scientifici della decisione nel terzo capitolo di The Noble Lie dello psicoterapeuta e divulgatore scientifico Gary Greenberg, e la ricostruzione del processo che portò alla decisione in Homosexuality and American Psychiatry: The Politics of Diagnosis di Ronald Bayer, membro dell’US National Academy of Sciences e consulente dell’OMS). Quindi attenzione: se fino al maggio 2019 era possibile e scientificamente corretto dire che le persone “transgender” soffrono di un disturbo (fino a fine 2012 gender identity disorder, “disturbo dell’identità di genere”, poi tramutato nel più neutro gender dysphoria “disforia di genere”), ora che la condizione è stata de-patologizzata in gender incongruence (incongruenza di genere) è diventato uno psico-reato, un hate speech. Nota bene: l’“incongruenza di genere”, che a differenza delle precedenti formulazioni può essere diagnosticata anche in assenza di sofferenza psicologica e di inclinazione a sottoporsi a interventi, non è più considerata una questione di salute mentale, ma resta un problema di salute sessuale: in modo da consentire comunque ai professionisti del settore di procedere con terapie farmacologiche e interventi chirurgici. Ma mentre il comportamento omosessuale è testimoniato in ogni popolo, in ogni epoca e anche in moltissime specie animali diverse, sia pure con modalità e ragioni specifiche per ciascuna (e ancora non del tutto comprese per cui non si può davvero escludere nessuna ipotesi), il fenomeno del “transgenderismo” moderno (solo in alcuni casi riconducibile al travestitismo, che ha una sua storia a parte), specie nella versione che si manifesta in bambini e adolescenti, sembra essere un fenomeno tipicamente umano, moderno e occidentale – e fino a due decenni fa, appunto, molto raro e strettamente legato a una sintomatologia di profonda sofferenza psicologica in chi ne fosse portatore. Siamo proprio sicuri che le due cose possano stare sullo stesso piano?

Ovviamente è falso sostenere che le persone transessuali esisterebbero solo in occidente, dato che sarebbe come sostenere che in Uganda non esistono gay perché i gruppi con cui collabora Pillon hanno cercato di introdurre leggi che imponessero l'uccisione di chiunque si dichiarasse tale.

Arrivano così al complottismo più sfrenato:

Poiché l’homo sapiens sapiens, nonostante il magnifico regno celeste offertogli dalla rivelazione gender, sembra cocciutamente vincolato a certe sue caratteristiche biologiche – come appunto i due sessi, le tipicità delle loro caratteristiche fisiche e la loro espressione sociale –, lo stesso nostro essere umani, nei suoi aspetti più fondamentali, dovrà essere radicalmente rimaneggiato. Non sorprende trovare quindi nell’accademismo woke la teorizzazione del “postumanismo”, la visione filosofica, di stretta discendenza dalla critical theory, secondo cui la visione unificata e tradizionalmente definita dell’essere umano va sostituita con una condizione “post-umana”, nella quale l’individuo non può avere una definizione precisa, ma va piuttosto compreso come un’entità dall’ontologia fluida, in costante ridefinizione della propria forma, della propria identità e della propria prospettiva sul mondo. In questo discorso “post-umano” si inseriscono le nuove possibilità della tecnologia. Grazie al progresso della scienza e della tecnica, oggi abbiamo a disposizione gli strumenti per modificare il DNA, rimpiazzare parti del corpo con omologhi tecnologici, e inserire micro-chips attraverso i quali si può interferire radicalmente sull’attività fisiologica. Grazie a questi strumenti si può realizzare il sogno “postumanista” del trascendimento dell’umano e delle sue limitazioni biologiche, in favore della visione in cui il corpo è un supporto neutro, una tabula rasa sulla quale si può imprimere virtualmente qualsiasi “identità” di propria preferenza. In ciò sta la connessione tra “postumanismo” e “transumanismo” (due concetti spesso confusi ma differenti tra loro), ossia la visione secondo cui la tecnologia può e deve essere utilizzata per trascendere i limiti della natura biologica umana. I sostenitori di questa visione predicano l’utilizzo attivo della tecnologia per trascendere i limiti delle possibilità umane, non solo a fine terapeutico: ad esempio la sostituzione di parti del corpo con innesti tecnologici che consentano la visione oltre lo spettro del visibile, o aumentino la velocità dei movimenti, come anche la modifica attiva del DNA non solo per correggere malattie genetiche o difetti fisici intrinseci, ma per effettuare delle scelte estetiche e morfologiche sul corpo dei nascituri.

Ovvia è la loro conclusione, ossia un invito alla discriminazione:

Alla luce di tutto ciò vogliamo dire che ci siamo convinti: il gender non esiste. Nel senso della caratteristica immateriale, nebulosa, mistica, fluida, indefinibile, del tutto slegata dal corpo fisico e dalla realtà biologica della specie, sempre “giusta” e indiscutibile in sé ma a volte incarnata nel corpo “sbagliato” per una svista degli Dèi, e che si può percepire e ripensare a piacere, e scolpire a colpi di farmaci, chirurgia e innesti tecnologici. L’ideologia gender, invece, esiste (da qualche decennio) e ci invade ogni giorno di più. Ma abbiamo innumerevoli buone ragioni per contrastarla con ogni nostra forza.

Tutto questo + stato scritto da tale Vincenzo Mogglia, ossia un tale che continua a scrivere post cnati-gay in cui nega l'esistenza stesas dell'omofobia:



Insomma, il signor Moggia pare molto attento a citare la peggior propaganda della destra statunitense per attaccare interi gruppi scoiali e promuover una ideologia molto chiara.
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