Consulta decide che sul genere non binario debba esprimersi il legislatore, ma il terzo sesso va riconosciuto


La Consulta ha stabilito di ritenere inammissibile la questione di rettifica di attribuzione di sesso in "un genere non binario" nell'atto di nascita, perché i giudici sostengono che toccherebbe al legislatore affrontare il tema in quanto "primo interprete della sensibilità sociale".
La Corte Costituzionale si era dovuta esprimere riguardo ad una questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Bolzano dopo la richiesta di un transgender, biologicamente donna ma che stava transitando nel genere maschile, che voleva rettificare il sesso nell'atto di nascita da '"femminile" ad "altro".
I giudici hanno osservato che l'obsoleto ordinamento amministrativo non permette di registrare all’anagrafe una persona senza indicarne il sesso, attribuito alla nascita o riassegnato dopo una transizione. ma hanno anche riconosciuto il diritto delle persone non binarie ad essere riconosciute e dunque tutelate perché "la percezione dell'individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile - da cui nasce l'esigenza di essere riconosciuto in una identità "altra" - genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico" riconosciuto nell'articolo 2 della Carta costituzionale e che "nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona" può "sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute".
Per la Consulta, quindi, la "condizione non binaria" deve necessariamente finire "all'attenzione del legislatore" anche tenendo presente le indicazioni "del diritto comparato e dell'Unione europea".
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