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Il "mea culpa" di Fidel Castro

In un'intervista rilasciata al quotidiano "La Jornada", il lider maximo cubano ha parlato di omosessualità, ammettendo una responsabilità personale nella persecuzione dei gay avvenuta a Cuba negli anno '60 e '70.
«Se qualcuno è responsabile, sono io. Non darò la colpa a nessuno» ha dichiarato l'84enne Fidel Castro.
In quei due decenni, i gay vennero sistematicamente mandati in campi di lavoro agricolo-militari, discriminati in base al loro ordinamento sessuale. Una situazione, quella, che oggi Castro definisce «una grande ingiustizia».
Nell'intervista spiega come quelli fossero tempi difficili a causa della guerra fredda e a quella che è stata ribattezzata "La crisi d'ottobre" (avvenuta per l'appunto nell'ottobre del 1962) dovuta alla scoperta di spie della Cia fra i suoi più stretti collaboratori. Concause che lo avrebbero spinto a disinteressarsi a quello che hai tempi era considerato "il problema omosessuale", decidendo di di liquidarlo frettolosamente inviando tutti i gay in campi detentivi.
Dietro alla decisione odierna di Castro di affrontare l'argomento e di ammettere una propria colpa si pensa ci possa essere la nipote: psicologa e da anni impegnata nella lotta contro ogni forma di discriminazione, potrebbe aver avuto una qualche influenza nella rilettura da parte del lider maximo di quei fatti storici.


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