Tra pubblico e privato


E così l'iter della prescrizione breve va avanti. Sono oltre 15mila i processi che risulteranno a rischio (compresi quelli legati al terremoto de L'Aquila, al crack Parmalat, al caso Cirio ed alla tragedia della Thyssen Krupp) ma è un prezzo che la Camera si è detta pronta a correre pur di salvare il premier dal processo Mills (l'avvocato condannato per aver ricevuto soldi in cambio di un falsa testimonianza ad un processo che coinvolge Berlusconi in qualità di proprietario di Videotime, Mondadori, Mediolanum e Tele+). Probabilmente, a seguire, la norma segnerà anche la prescrizione nel procedimento a carico di Mediatrade per la compravendita di diritti televisivi.
Il fatto più preoccupante dell'intera vicenda è come si sia voluto dare un risvolto politico al tutto, quasi come se un attacco all'operato delle sue imprese abbia un qualche cosa a che fare con il voto popolare o come se le sue oltre 367 aziende abbiano conquistato una sorta di impunità come soluzione al suo conflitto di interessi. Un problema reale anche per i concorrenti che, volenti o dolenti, le leggi devono rispettarle senza poter chiederne il cambiamento in corsa.
Un conflitto di interessi che di certo non è nato oggi. Prendendo come esempio il settore televisivo: non passa inosservata la differenza fra Europa 7, l'emittente che aveva ottenuto tramite regolare gara il diritto a frequenze nazionali senza ottenerle perché già occupate da Rete 4 (occupazione costata allo stato una multa di 130 milioni di euro all'anno inflitta dalla Corte di Giustizia Europea) e Mediaset che recentemente ha ottenuto in regalo un nuovo canale per le sue trasmissioni in HD e che nel 2002 (sotto l'allora nome di Fininvest) vide archiviata l'accusa di falso in bilancio dopo che il suo stesso proprietario approvò una legge che eliminava il reato di cui era accusata. Chissà, magari è solo un caso, ma la strada di quest'ultima appare molto più in discesa.
Ed ancora, in questi giorni Mauro Masi, direttore generale della Rai e capo di Gabinetto durante i governi Berlusconi II e III, si è detto disposto a vendere la proprietà delle antenne del servizio pubblico a Mediaset: un affare che se concluso offrirebbe a quest'ultima il monopolio assoluto nel settore.
E non si sta parlando di un settore di nicchia: in Italia la televisione è il mass media che riesce ad orientare maggiormente l'opinione pubblica. La proprietà dei sistemi di trasmissione permetterebbe influenze significative anche nel caso di un cambio di governo, le stesse che già oggi alcuni denunciano a livello politico sulla Rai e contrattuale su Mediaset.
Ad esempio verrebbe da pensare che un direttore generale dovrebbe importare molto dei suoi fiori all'occhiello in fatto di audience, eppure Masi pare poco interessato al rinnovo dei contratti di Fabio Fazio, Giovanni Floris, Milena Gabanelli e Serena Dandini (guarda a caso, tutti poco graditi alla maggioranza ma premiati dal pubblico in continua ascesa) e disponibile nelle acquisizioni di Ferrara e Sgarbi (sempre per puro caso, sostenitori dell'attuale maggioranza)... se ciò accade un motivo ci sarà, no?.
Così come ci sarà un motivo se in relazione ad un protesta di Tremonti nei confronti di un'inchiesta di Milena Gabanelli (per la quale aveva scelto di non rilasciare interviste): l'Agcom ha sentenziato che non è stato detto nulla di falso o di diffamatorio ma ha comunque imposto alla trasmissione «una nuova puntata che dia spazio a voci e testimonianze positive relative alla manovra economica finanziaria del ministro» (concetto che se traslato in altri ambienti porterebbe ad esempio a non poter parlare male di un malavitoso senza prima aver trovato qualcuno pronto a parlarne positivamente).
Affari personali o interesse per il Paese? A ciascuno la propria opinione in proposito.
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