Venticinque anni fa il disastro di Chernobyl


Il 26 aprile 1986, alle ore 1:23 (ora locale), una brusca esplosione fece saltare il coperchio del reattore numero 4 della Centrale nucleare V.I. Lenin di Cernobyl, in Ucraina. Una nube di materiali radioattivi fuoriuscì e ricadde sulle aree circostanti Nubi radioattive raggiunsero anche l'Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia e, con livelli di contaminazione minori, anche l'Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l'Austria, i Balcani e porzioni della costa orientale del Nord America. Il bilancio ufficiale degli effetti legati al disastro, contestato da alcune associazioni internazionali che lo ritengono troppo ottimista, è una stima di 6 milioni di decessi su scala mondiale nel corso di 70 anni.
Quella notte il reattore sarebbe dovuto essere spento, ma le autorità vollero approfittare dell'occasione per effettuare alcuni test sull'impianto di sicurezza. L'aumento della potenza del nocciolo portò alla scissione dell'acqua di refrigerazione in idrogeno ed ossigeno ad una così elevate pressione da provocare la rottura delle tubazioni del sistema di raffreddamento. Fù il conseguente contatto dell'idrogeno e della grafite incandescente delle barre di controllo con l'aria ad innescare l'esplosione che scoperchiò il reattore.
Gli operatori della centrale, attrezzati solo con contatori Geiger e mascherine di tipo chirurgico, eseguirono i primi rilevamenti, riscontando una radioattività di circa un milione di volte maggiore a quella naturale.
Sono sufficienti 500 Röntgen (l'unità di misura delle radiazioni) distribuiti in un lasso di 5 ore per uccidere un essere umano: il valore riscontrato era di 20.000 Röntgen/ora. Molti degli operai presenti nell'impianto furono esposti ad una dose mortale di radiazioni nell'arco di pochi minuti, così come i soccorritori e gli operai che il giorno dopo si presentarono al lavoro senza essere stati avvertiti dell'accaduto.
Nonostante la situazione apparisse critica e migliaia di vigili del fuoco e militari furono chiamati in loco, le autorità fecero di tutto per cercare di mantenere il segreto sull'accaduto e la vicina la vicina città di Pripjat non venne evacuata immediatamente, ma solo il giorno successivo. Ai residenti si chiese si portare con sé solo pochi effetti personali, promettendo loro che il loro trasferimento per "motivi precauzionali" sarebbe durato solo poco tempo. Da Kiev giunsero decine di autobus che, a causa delle radiazioni assorbite, vennero successivamente abbandonati nella zona interdetta creando dei veri e propri "cimiteri" di autovettura tutt'ora esistenti. Furono circa 336.000 le persone evacuate.
Solo il 28 aprile venne diffuso il primo annuncio pubblico dell'accaduto attraverso un comunicato di soli 14 secondi letto al telegiornale. Anche le prime interrogazioni internazionali non si erano fatte attendere, dopo che la mattina del 27 aprile alcuni lavoratori in ingresso alla centrale di Forsmark (Svezia) fecero scattare l'allarme dei rilevatori di radioattività: si pensò inizialmente ad un problema interno ma, dopo averne verificato la piena funzionalità, la fonte delle radiazioni venne identificata in Ucraina.
Ci volerlo giorni per riuscire a spegnere l'incendio scaturito dopo l'esplosione ed anni per tentare di decontaminare l'edificio i il sito del reattore, così come per la costruzione di un sarcofago costituito da 300mila tonnellate di cemento che avrebbero dovuto isolare il reattore e le macerie. Nel 1997 venne costruito un secondo sarcofago, basato su teorie costruttive diverse e ritenuto necessario per garantire maggior sicurezza del precedente.

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