Il governo sull'orlo del baratro


Al G20 aveva provato a rassicurare tutti, sostenendo che «La vita in Italia è la vita di un Paese benestante: i ristoranti sono pieni, sugli aerei a fatica si trovano posti, i posti di vacanza nei ponti sono assolutamente iper-prenotati». Ma negare l'evidenza dopo il declassamento del Paese e le continue richieste di misure concrete da parte dell'Europa era servito a ben poco, come non hanno mancato di sottolineare anche numerosi quotidiani esteri ai quali è stata offerta l'ennesima occasione per facile ironia.
I giornali a lui vicini hanno parlato di speculazione e, mentre il Financial Times affermava che "solo un cambio di leadership può ridare credibilità all'Italia", riattribuivano ad Obama alcune affermazioni di Ben Rhodes che definivano influente un cambio di governo.
Eppure pochi giorni più tardi, dopo che anche la Carlucci ha abbandonato il suo partito e dopo il «È finita» di Maroni, è bastato che Ferrara annunciasse le imminenti dimissioni di Berlusconi perché le borse reagissero in modo positivo con il raggiungimento del record dello spread sui bund tedeschi a quota 490 punti. Passano due ore, Berlusconi smentisce e la Borsa ha rallentato di colpo.
Ben diversa, invece, è la situazione in Grecia dove le dimissioni di Papandreou e l'accordo per la formazione di un governo di unità nazionale ha portato ad un forte rialzo delle banche elleniche.
D'altra parte viene automatico ricordare quanto il premier disse nel 1993, dichiarando a Biagi e a Montanelli che «Se non vado in politica, mi mandano in galera e mi fanno fallire». Ora le cose non sono cambiate, anzi, su di lui pesano accuse ancor più gradi (corruzione in atti giudiziari, illeciti nella compravendita di diritti televisivi, frode fiscale, appropriazione indebita, prostituzione minorile, concussione aggravata ed abuso d'ufficio) che potrebbero infierire non poso sulla sua scelta di cedere o meno il passo.
Al momento le carte non sono chiare e le voci che si rincorrono sono molte. Lui afferma in tono quasi intimidatorio: «Domani si vota il rendiconto alla Camera, quindi porrò la fiducia sulla lettera presentata a Ue e Bce. Voglio vedere in faccia chi prova a tradirmi. Non capisco come siano circolate le voci delle mie dimissioni, sono destituite di ogni fondamento». Il fedelissimo Ferrara torna a dire che si dimetterà dopo la richiesta di fiducia e che si andrà alle urne a gennaio. Alcune voci di corridoio, infine, ipotizzano che la possibile scappatoia possa essere il fatto che sia proprio lui, da dimissionario, a guidare il governo verso l'appuntamento con le urne.
Non rimane che attendere le prossime ore per scoprire se ci saranno dimissioni o se i numeri in aula saranno sufficienti per non staccare immediatamente la spina all'attuale esecutivo.
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