La regina Elisabetta contro le discriminazioni dei gay? Forse, ma non in modo esplicito.


Nel corso del pomeriggio è rimbalzata in rete la notizia che, per la prima volta nella storia, la Regina Elisabetta II si sarebbe pubblicamente espressa a favore dei diritti dei gay attraverso la firma della Carta del Commonwealth, il documento che stabilisce i valori e i principi cui devono ispirarsi i 54 stati aderenti.
Col passare delle ore, però, l'entusiasmo è andato via via scemando dopo che qualcuno ha incominciato a notare come in quel testo non vi fosse alcun riferimento esplicito alla comunità lgbt. Nel documento, infatti, si legge: «Siamo implacabilmente contro ogni forma di discriminazione, sia radicata in genere, razza, colore, religione, credo politico o altri motivi».
Voci di palazzo sostengono che i gay sono inclusi in quel generico "altri motivi" e che un riferimento più esplicito sia stato evitato come forma di rispetto nei confronti dei Paesi aderenti che hanno scelto di adottare «rigide leggi anti gay». Ma -inutile a dirsi- una simile spiegazioni è una contraddizione in termini: non si può condannare una discriminazione senza prendere posizione nei confronti di chi la perpetra.
Tra le organizzazioni gay del Paese serpeggia anche il dubbio che esista un vero e proprio veto sul tema che impedisca prese di posizione significative, soprattutto considerato come la maggior parte delle nazioni aderenti si sia contraddistinto per politiche omofobe. Di certo una presa si posizione tutt'altro che esplicita non sembra apparire quella «svolta epocale» preannunciata da Buckingham Palace alla vigilia della firma, casomai una scorciatoia per evitare accuse di omofobia senza interventi seri sul tema.
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