Forse un voto a porte chiuse sulla norma omofoba ugandese


È da qualche mese che non si sente più parlare del progetto di legge omofobo (ribattezzato "Kill the gay") in discussione in Uganda e che prevede l'ergastolo per gli atti omosessuali, punizioni per le organizzazioni che supportano i diritti dei gay e la pena di morte per gli atti sessuali praticati da gay sieropositivi o rei di violenze sessuali (un passaggio annunciato come stralciato ma -come qualcuno fa notare- tutt'ora ben presente sulla carta).
Il motivo del silenzio è presto detto: i loro politici vorrebbero introdurre una sorta di omofobia di stato ma temono le reazioni dei Paesi occidentali, in più occasioni in prima fila nel condannare una simile proposta. In caso di approvazione, infatti, il Paese africano potrebbe vedersi tagliati alcuni flussi di aiuti economici sui quali basa il proprio sostentamento.
Ed è così che la classe politica ugandese ha approfittato di questo lasso di tempo per escogitare un piano che, a loro parere, possa permettergli di approvare la legge senza poter essere additati come responsabili delle conseguenze. L'idea, infatti, è quella di una votazione a porte chiuse, in modo che nessun cittadino o nazione potrà mai sapere che cosa si è detto e chi ha votato a favore o contro la legge.
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