La Chiesa non è omofoba, sono i gay che si ostinano a fare sesso contro il suo volere


Chi segue con attenzione come la stampa cattolica tratta le notizie legate alle unioni gay, non solo rischierà di essere fra i maggiori consumatori di gastroprotettori, ma probabilmente non faticherà a notare una strategia comunicativa trasversale. Generalmente, infatti, i discorsi si basano su assunti spacciati come dogmi (e quindi, da accettare come tali senza bisogno di argomentazioni) e si presuppone sempre che la religione (o presunta tale) debba avere la precedenza sul diritto laico. Non mancano quasi mai anche frasi in cui gli autori degli articoli si auto-assolvono da qualsiasi accusa di omofobia (della serie «Io non sono omofobo, sono loro che sono gay») ed in quest'ottica i gay che si auto-colpevolizzano appaiono una vera e propria manna (ricorderete gli Omovox, un'associazione di gay contrari ai matrimoni fra persone dello stesso sesso che ha ottenuto un'eco internazionale generalmente impensabile per un gruppo formato da poche decine di persone). Poi se due sindaci non vogliono celebrare nozze gay, allora si dice che "moltissimi" sindaci non le vogliono celebrare, così come se l'opinione dei vescovi va in una direzione, appare evidente che tutta la cittadinanza la debba necessariamente pensare allo stesso modo e che si stia subendo una qualche violenza non democratica. Insomma, né più né meno di quanto avviene durante le campagne elettorali: tutti ricorrono ai sondaggi per dimostrare di essere in maggioranza dato che parte dell'opinione pubblica tenderà a schierarsi dalla parte di chi si ritiene possa essere il vincitore (e questo senza neppure entrare nel merito di chi è e di che cosa dice).

Ciò premesso, è difficile non temere il peggio nell'imbattersi in un articolo intitolato "Philippe Ariño: io, omosessuale, vi spiego perché la Chiesa ha ragione". Chi sia Philippe Ariño non lo sa probabilmente nessuno, ma il punto è che è gay e che dà ragione alla Chiesa (e questo ad alcuni basta). Inserendo il suo nome su Google, infatti, ci si ritrova sommersi da un elenco sterminato di siti cattolici che parlano di lui, per di più disquisendo da anni sulla stessa identica affermazione, quasi si trattasse di un evergreen utile per ogni stagione.
L'articolo racconta che si tratta di un cattolico francese, professore di spagnolo e gay dichiarato dall'età di 17 anni. Nel 2009 ha lasciato il compagno e «da allora ho abbracciato la via della continenza che la Chiesa chiede alle persone omosessuali». Si precisa che non è un ex-gay (almeno quello, ndr) ma «semplicemente una persona che si è sentita pienamente accolta per quello che è». O forse per quello che gli altro volevano lui fosse, si potrebbe anche dire.
Ma è in virtù della sua scelta di totale castità (che per quanto sia lecita e rispettabile non è detto che debba essere necessariamente condivisibile) gli vene subito chiesto un commento si quanti «accusano la Chiesa di essere "omofoba"» (da notare le virgolette che paiono chiarire che quel termine debba essere ritenuto inappropriato). Ed infatti lui risponde: «Prima di iniziare il percorso che propone la Chiesa non ero felice, e vedevo che non lo erano nemmeno molte delle persone che mi stavano intorno e ho deciso, per la prima volta, di obbedire a quello che la Chiesa chiede alle persone omosessuali. Da quel momento ho scoperto non solo un'unità che non avevo mai avuto prima, ma soprattutto mi sono sentito amato senza dover rinnegare quello che sono».
«Obbedire»... una gran brutta parola che lascia intendere che sia necessario fare ciò che ci viene detto senza obiettare o discuterne, ma il solo fatto che si citino «gli altri» già lascia temere che ci si trovi davanti a chi non si pone problemi ad ergersi a rappresentanza di tutti.
Poi, parlando della sua conversione, aggiunge: «Mi sono accorto che quando una persona si riduce a identificarsi nel suo desiderio omosessuale si annienta, allontanandosi da se stesso e dagli altri, mentre la continenza permette di essere pienamente me stesso ma al contempo libero dalla violenza e dalla schiavitù della pratica fisica».
Inutile dire che sarebbe bello potergli chiedere perché ritiene che il sesso gay «annienti» mentre quello eterosessuale non abbia lo stesso effetto. E se il problema è la fisicità, perché l'orientamento dovrebbe risultare come discriminante? Eppure, come se fosse una cosa ovvia, il termine «violento» viene spostato dall'atto fisico all'atto omosessuale attraverso la domanda che gli viene immediatamente posta: «Perché dici che mettere in pratica l'omosessualità sia qualcosa di violento?». Pronta la risposta: «La pratica omosessuale è violenta perché annulla completamente la differenza oggettiva tra i sessi che invece la Chiesa è ormai l'unica a far notare». Una tesi ribadita anche in relazione ai matrimoni gay approvati in Francia («La legge di Hollande è in realtà violentissima, perché banalizza la differenza tra i sessi mettendo tutte le coppie allo stesso livello») e negli Stati Uniti («Nell'ossessione di equiparare i diritti, si è cancellato con un colpo di spugna ciò che non potrà mai essere uguale») suffragati dalla tesi che «l'unica visione corretta delle cose è quella fornita dalla Chiesa».

Insomma, tanti giri di parole per far passare tre messaggi: la Chiesa non è omofoba, la Chiesa vuole impedire che i gay vivano liberamente la propria sessualità per il loro bene e sono i gay a volerlo. Peccato, però, che quella sia solo l'opinione di un singolo e non di una comunità... e se ci si dovesse basare sulle opinioni dei singoli, perché al primo prete beccato ad avere rapporti sessuali con un altro uomo non è passato il messaggio che la curia a promuovere i rapporti omosessuali?
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