Il mondo gay pretende risposte dopo l'ennesimo suicidio causato dall'omofobia


«Ascoltiamo con umiltà la denuncia che il gesto disperato di un 21enne (e di altri giovani prima di lui) contiene. E mettiamo in campo una risposta, quantomeno una reazione. Fa bene la viceministro Guerra a richiamare le responsabilità di tutte e tutti rispetto a questo dramma. Ed è proprio perché la responsabilità non diventi una delle tante parole di circostanza che si adoperano in questi casi, che esortiamo la viceministro a rendere concreto il suo richiamo all'azione e a sollecitare subito l'apertura di un tavolo interministeriale che porti in tempi rapidi alla definizione di una road map di interventi sull'omotransfobia». Così Flavio Romani, presidente nazionale di Arcigay, ha preso posizione sul caso di Simone, il giovane romano che si è tolto la vita lasciando in una lettera il suo atto di accusa agli omofobi.
«Il Parlamento sta discutendo l'estensione della legge Reale Mancino -prosegue Romani- una legge penale che cioè punisce soltanto a posteriori il crimine d'odio. Con quella legge insomma, se e quando verrà approvata, riusciremo a dare giustizia alle vittime, ma non eviteremo alle vittime di diventare tali. Né avremo fatto nulla per intervenire sul clima d'odio, rispetto al quale il crimine è soltanto la punta dell'iceberg. E invece è proprio di questo clima che ci parla la disperazione di questi giovani: ci dice che per loro la vita di ogni giorno è insostenibile, quella penombra a cui sono costretti per assecondare la cultura del pregiudizio in cui sono immersi li soffoca, l'immobilismo che vedono attorno toglie loro perfino la speranza di un futuro [...] Allora viceministro, è davvero urgente passare all'azione, bisogna quanto prima stabilire gli ambiti in cui agire e come farlo. Dobbiamo almeno tentare di rendere migliore la vita dei ragazzi e delle ragazze lgbt di questo paese. Avvii subito il percorso, le associazioni, Arcigay in particolare, non faranno mancare il proprio contributo».
Intanto il mondo gay della capitale si è mobilitato e scenderà in strada mercoledì 30 ottobre (dalle ore 22), presso la Gay Street di Roma, per chiedere al Governo delle risposte concrete per evitare che quanto avvenuto possa ripetersi ancora una volta. «Le parole del ragazzo che si è tolto la vita perché gay -ha dichiarato il portavoce del Gay Center- non possono restare inascoltate. Gli omofobi facciano i conti con la propria coscienza».

Imbarazzante è come il terribile fatto di cronaca non abbia neppure lontanamente sfiorato la coscienza degli aderenti alla Manif pour tous Italia che, proprio in queste ore, hanno iniziato una crociata contro uno spettacolo teatrale di Bologna ritenuto reo di mostrare un bacio fra due donne ad un pubblico di bambini. Secondo il loro comunicato, il permettere a dei ragazzi di conoscere anche altre realtà sarebbe come «imporre loro di fatto un'idea falsa e non maggioritaria, è operare un danno alla democrazia». Il gruppo cattolico non manca anche di sostenere che il Comune «sottrae risorse a realtà più urgenti e significative della città» al solo fine di educare alla diversità sessuale (da loro ritenuta «ideologica e strumentale»). Ecco perché l'Italia non è un posto per gay ed ecco perché servono risposte urgenti da parte delle amministrazioni, al fine di impedire che i pregiudizi possano essere coltivati e tramandati da chi è il vero mandante di morti che si sarebbero potute evitare.
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