Il malessere di Simone nelle telefonate alla Gay Help Line: «Capisco lo stato d'animo dei gay suicidi»


«L'Italia è un Paese libero ma ci sono gli omofobi. Chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza». È questo il messaggio che Simone ha lasciato prima di gettarsi dall'undicesimo piano dell'ex pastificio a Porta Maggiore, a Roma.
La Procura sta ora indagando con l'ipotesi di istigazione al suicidio, ed è in questo quadro che ha acquisito la decina di telefonate del giovane alla Gay Help Line, il servizio antiomofobia ed antitransfobia gestito dal Comune di Roma, dalla Regione Lazio, dalla Provincia di Roma e dai volontari delle associazioni lgbt.
Dalle conversazioni è possibile leggere tutto il suo malessere per la situazione che viveva: «Ciao, mi chiamo Simone -ha detto nella sua ultima chiamata, due settimane prima del suicidio- ho 21 anni... volevo dirti... i ragazzi che si sono... suicidati... perché dicevano che erano gay... io capisco come si sentivano... il loro stato d'animo... alle volte viene anche a me la voglia di farlo». Non era una telefonata disperata, Simone era scosso ma lucido.
Il quadro si arricchisce di dettagli anche attraverso gli altri estratti resi pubblici, tra telefonate in dava il suo nome e raccontava di sé e quelle in cui preferiva restare anonimo. «Sono uno studente di scienze infermieristiche -ha detto in un'altra conversazione- faccio il tirocinante. Quando passo nei corridoi sento le voci alle mie spalle... si chiedono se sono frocio... gay... i colleghi, li vedo che mi indicano... fanno battutine». Ed ancora: «Sono stufo di prese in giro e vessazioni... va avanti così da quando andavo alle medie... e poi le superiori... l'università... ora al lavoro».
Nelle telefonate non si fa mai riferimento a nomi o ad episodi specifici, così come Simone non parla mai della sua famiglia (con cui aveva un ottimo rapporto). Tra gli elementi ancora da chiarire c'è anche il luogo scelto per porre fine alla sua vita, distante tre chilometri da casa sua.
Fabrizio Marrazzo, fondatore del Gay Center, ha commentato: «Serve prevenzione, includendo l'omofobia tra i reati di opinione. Non so come finirà l'inchiesta, ma quella di Simone potrebbe essere uno dei troppi casi in cui tante voci diventano una sola. Tutti colpevoli, nessun colpevole. E serve sensibilizzazione. Ancora oggi incontriamo grandi difficoltà per andare a parlare nelle scuole».
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