Adolf Hitler era gay? Un viaggio fra storie, miti, negazionismo e revisionismo
Si celebra oggi la Giornata della memoria, una ricorrenza internazionale istituita per commemorare le vittime del nazismo, dell'Olocausto, dell'Omocausto e per ringraziare quanti hanno sacrificato la propria vita per proteggere i perseguitati.
Durante il regime nazista, furono almeno 50.000 gli omosessuali internati in campi di concentramento, contraddistinti dagli altri prigionieri attraverso un triangolo rosa cucito sul petto. Il senso della giornata odierna è quella di rafforzare la memoria di quanto accaduto, per impedire che quell'orrore possa ripetersi. L'importanza di impedire che il passato possa essere avvolto da una nube d'oblio è testimoniata da chi già oggi cerca di vedere solo ciò che vuole, ipotizzando tesi negazioniste o tentando di riscrivere l'accaduto.
Per quanto riguarda il mondo omosessuale, una delle tesi più odiose è rappresentata da quanti cercano di ricamare all'ipotesi che Adolf Hitler fosse gay. Anzi, uno dei cavalli di battaglia del Revisionismo e del Negazionismo è sostenere che che ci fossero numerosi omosessuali fra le SS, che l'omocausto non sia mai esistito ed che i gay fossero protetti dal nazismo (se non addirittura loro a comandare).
La realtà appare un po' diversa se si considera come Himmler, parlando di come gli omosessuali non facessero figli da reclutare nell'esercito, asserì che «il nostro popolo sarà annientato da questa malattia contagiosa» o di come, alla fine della guerra, molti di loro vennero imprigionati in carceri civili a causa del loro orientamento sessuale (il divieto all'omosessualità introdotto dai nazisti con il paragrafo 175 rimase in vigore per ben 24 anni dopo la fine della guerra). Anche gli americani ed inglesi bollarono i gay come «criminali comuni» a cui non era dovuta alcuna libertà.
Non appare dunque un caso se la propaganda cominternista scelse di accusare Hilter di omosessualità con l'intendo di screditarlo, portando quelle voci ad uscire ben presto dai confini dell'Urss e del Comintern.
Su queste basi la psicoanalista israeliana Eliane Amado Lévy Valensi scrisse che «il nazismo, con l'esaltazione della forza bruta, della (falsa) virilità, era certamente un tempio dell'omosessualità». Ancor peggiore è la teoria dei fascisti Scott Lively e Kevin Abrams, secondo i quali «il nazismo fu una congiura di f*oci decadenti ed europei» e che «il movimento gay attuale ne è la diretta prosecuzione». Ecco dunque perché Hilter doveva essere gay: ciò avrebbe permesso di salvarne l'aberrante ideologia politica attribuendo a qualcun altro la colpa degli orrori commessi.
A sostegno della loro tesi, i due autori sostennero anche che «Negli anni Sessanta l'omosessualità dei nazisti era tanto ampiamente riconosciuta in America che il ritratto del bruto nazista come omosessuale era un'apparizione frequente nei film di Hollywood». Inutile dire che bisognerebbe chiedersi se quell'evidenza fosse una prova storica o l'effetto di una propaganda assai comune in quegli anni... ma si sa che c'è chi preferisce unire le singole tessere per formare un disegno stabilito a priori.
Lo storico tedesco Lothar Machtan passò gran parte della sua vita cercare prove tangibili dell'omosessualità di Hitler, ma non ci riuscì. L'unica testimonianza mai trovata è racchiusa in un articolo del 1977 intitolato "Un maschio per il führer", nel quale un certo Ernst Waldbauer sostiene di aver avuto un rapporto con lui all'età di sedici anni (addentrandosi fin nei datagli e sostenendo che Hitler lo avrebbe masturbato). Peccato, però, che di quella storia non esistano né conferme né smentite, ma solo una pagina di giornale che riporta una semplice dichiarazione.