Avvenire: «Si dia parola a chi sostiene le terapie riparative dell'omosessualità»


Se una persona «avverte un evidente disagio nel suo comportamento sessuale o in pensieri rivolti a persone dello stesso sesso e chiede esplicitamente di passare da una posizione di orientamento omosessuale verso pensieri e pratiche eterosessuali» può rivolgersi ad un psicologo disponibile ad applicare i protocolli che esistevano quando l'omosessualità era considerata una malattia, con «ottime possibilità di successo».
Lo ha sostenuto il dottor Paolo Zucconi di Udine in un forum specializzato in psicologia in risposta ad un utente che chiedeva se fosse possibile uscire dall'omosessualità. Dato che una circolare dell'Ordine degli Psicologi vieta espressamente l'applicazione di quella teoria data l'infondatezza scientifica della tesi ed i rischi per la salute del paziente, un collega lo ha segnalato all'Ordine e per lui è scattato un provvedimento disciplinare ed una sospensione di tre mesi.

La storia è stata lo spunto con cui Avvenire ha lanciato una nuova crociata a favore delle fantomatiche terapie riparative. L'articolo si pare con un'esaltazione della carriera dell'uomo quasi fosse un luminare, salvo poi immediatamente etichettarlo come la «vittima» della vicenza.
«Fa lo psicologo da trent'anni -precisano- è specializzato in psicoterapia cognitivo comportamentale, ha conseguito sette perfezionamenti universitari e tre master, ha scritto anche saggi e insegnato la materia a cui ha dedicato la vita. Ma secondo il Consiglio dell'ordine degli psicologi della Lombardia ci sarebbero lacune nelle sue conoscenze scientifiche».
Incuranti di come quel suggerimento avrebbe potuto causare gravi danni al paziente, il quotidiano dei vescovi prova persino ad ispirare pietà nei confronti del professore, sostenendo che «non appena l'atto sarà formalizzato non potrà lavorare e dovrà anche cancellare da tutti i siti la pubblicità del suo studio». Anzi, si sostiene persino che quelle fantomatiche terapie siano da «tempo utilizzati con successo negli Stati Uniti» senza neppure tenere in considerazione come si stia discutendo di vietarle dato che ne è stata provata l'inefficacia ed i rischi per i pazienti (che spesso diventano inclini alla depressione e all'autolesionismo).

Dopo aver tirato in ballo un'indefinita «lobby» che avrebbe condizionato le decisioni dell'Ordine degli Psicologi, Avvenire si lancia nello scrivere:

La "terapia riparativa" non intende affatto "riparare" l'omosessualità, come fingono di credere gli oltranzisti della sessualità gaia e felice. Ma occuparsi invece di "riparare" la ferita originaria nella relazione con il padre che, secondo alcuni studiosi, sarebbe all'origine dei disturbi dell'identità sessuale. Tesi discutibile? Benissimo, se ne discuta, si aprano dibattiti, si dia la parola ai sostenitori dell'una e dell’altra posizione. Invece nel 2010, una delibera dell’ordine nazionale degli psicologi, ha vietato sic et simpliciter qualsiasi ricorso alla "terapia riparativa", con un sillogismo che -a parere di non pochi psicologi- traccia una premessa e arriva a dettare una conclusione apodittica senza dimostrare nulla.

Ovviamente non viene fatto alcun nome di chi sarebbero questi «non pochi psicologi» nonostante sia facile immaginare si faccia riferimento a sedicenti professionisti statunitensi che sono stati pagati dalla Chiesa per confezionare studi di parte a sostegno del lucroso giro di affari legato a simili terapie. Peccato che l'unica evidenza proveniente da organi ufficiali è che le tesi di Nicolosi non hanno alcun fondamento e sono state scartate a priori sin dalla loro prima formulazione. A riprenderla sono stati solo i gruppi religiosi che, appellandosi ad esse, hanno cercato di alimentare lo stigma di persone che venivano incolpate di essere la causa di un qualcosa di innaturale.

Altrettanto evidente è come la decisione dell'Ordine degli psicologi italiano non sia certo caduto dall'altro, ma sia giunto dopo una serie di riflessioni che hanno portato a molteplici pronunciamenti di più organismi e sedi. Insomma, è evidente che i vescovi vogliono ricorrere alla nota macchina del fango per cercare di screditare le tesi contrarie ai propri interessi personali.
Naturalmente poco importa se sostenere che l'orientamento sessuale sia un" colpa" finirà con l'alimentare l'odio omofobico, così come il voler "curare" ciò che non dev'essere curato è come aprire una finestra dinnanzi ad un suicida (per poi dire: «È lui che l'ha chiesto!»).
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