A sei anni dalla morte, ProVita torna a strumentalizzare Eluana Englaro: «Sappiamo cosa pensava»


Pare proprio che l'associazione ProVita Onlus non abbia la più pallida idea di cosa sia la decenza e il rispetto dei defunti.
In Friuli Venezia Giulia è stato recentemente proposta l'istituzione di un registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, un progetto che permetterebbe a tutti di poter decidere quale trattamento sanitario ricevere in caso di compromissioni gravi alla propria salute, senza che parenti o medici si trovino a decidere per noi.
Eppure per gli ultraconservatori dell'associazione tutto ciò è inaccettabile ed è così che, pur di cavalcare un argomento populista, dal cilindro hanno tirato fuori una lettera che riguarda la storia di Eluana Englaro (la ragazza a cui è stata interrotta l'alimentazione artificiale dopo una condanna a diciassette anni di vita in stato vegetativo permanente).
A scriverla è un «medico che ha assistito da vicino Eluana Englaro» e che non tarda a definirsi una «cristiana convinta». In grassetto viene sottolineata la frase in cui la donna parla della «nostra cara Eluana, a cui è stata tolta la vita contro la sua volontà, avendo in più occasioni reagito quando capiva che volevano sopprimerla. Sono testimone di questi fatti, vissuti direttamente sulla mia pelle, con davanti ai miei occhi lo strazio della reazione avuta da Eluana».
Peccato, però, che da lì a poco le argomentazioni di quanto sostenuto vengano affidate esclusivamente a citazioni bibliche. Si inizia dal citare la lettera ai Romani («Nell'indifferenza viene "tenuta imprigionata la Verità nell'ingiustizia", per dirla con S.Paolo»), si passa poi alle parole di Giovanni Paolo II («La Verità non va taciuta detta a metà ne ammorbidita») per chiudere la lettera con un «Convertitevi e credete al Vangelo!».
Più sospetto è il passaggio in cui la donna minaccia: «Verrà presto, in questo mese, nella vostra terra a testimoniare a Udine, Paluzza e Trieste, la verità su ciò che Eluana veramente voleva: la sua vita anche cosi com'era». In altre parole, a sei anni dalla morte della ragazza, una donna se ne esce dicendo di sapere che cosa provasse una ragazza che da diciassette anni viveva in stato vegetativo. Eppure, nonostante appaia più che lecito il dubbio di trovarsi dinnanzi ad un possibile sciacallaggio, la ProVita Onlus non mancato di darle immediata visibilità e promozione. A questo unto ci sarebbe proprio da chiedersi se il prestarsi all'integralismo cattolico non rischi di divenire una risposta alla crisi economica, data l'immediata carriera che si può ottenere nell'offrirsi di testimoniare le loro tesi anche senza alcun bisogno di risultare credibili.
Interessante sarebbe anche il capire perché la ProVita Onlus ritenga che Eluana non meriti di essere lasciata in pace e si senta nel diritto di tirarla in ballo anche in argomentazioni che non fanno altro che strumentalizzare ulteriormente la sua storia. In fin dei conti è difficile non osservare come il suo nome venga associato alla necessità di non permettere l'autodeterminazione personale eppure, se davvero non avesse voluto che la macchina che la teneva in vita venisse staccata, la norma proposta dal Friuli Venezia Giulia gli avrebbe permesso di esprimersi sul tema e di evitare al padre quella difficilissima decisione.
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