Condannato per aver criticato un pm


«A prescindere dalla sanzione inflitta nei due gradi di giudizio, emergerebbe un dato preoccupante dalla conferma della sentenza di primo grado: cioè che un atto giudiziario non potrà essere commentato e criticato, anche con toni sferzanti e pungenti». È quanto dichiara Arcigay Palermo dopo la condanna al pagamento di mille euro di multa inflitta ad un attivista che aveva osato criticare una sentenza.
I fatti risalgono al 2007 quando un'insegnante punì un alunno colpevole di atti di bullismo omofobico facendogli scrivere centro volte la frase «sono un deficiente». La docente finì in tribunali e venne assolta, ma pm Cartosio decise di impugnare la sentenza. È a quel punto che Vincenzo Rao, a nome dell'associazione Articolo 3, commentò «la nostra associazione esprime profonda indignazione, non per il legittimo diritto al ricorso in appello, ma per la grettezza machista, omofoba e misogina che costituiscono l'impianto ideologico su cui si fonda tale ricorso». Per quella semplice frase è ora stato condannato.

«Una sentenza sconcertante, che dovrebbe mettere in allarme tutti quelli che in questo Paese hanno a cuore la tutela della libertà di espressione -ha commentato Flavio Romani, presidente di Arcigay- Rao è stato condannato per aver criticato le parole con cui un pm argomentava l'impugnazione dell'assoluzione di una maestra, che aveva punito un alunno per aver dato del "frocio" ad un compagno. C'è un paradosso insopportabile in questa vicenda che mentre assimila un insulto ad una normale espressione giovanile, sanziona severamente chi rispetto a questa lettura esprime dissenso. Da un lato quindi la libertà di insultare, dall'altro il divieto di criticare. Questa sentenza non fa male solo all'attivista di Articolo 3, è una ferita per tutte e tutti: le critiche di Rao infatti non contestavano il diritto del magistrato di ricorrere in appello dopo l'assoluzione, semmai puntavano il dito sulle argomentazioni che quel pm metteva in campo, parole che minimizzavano il fenomeno del bullismo, specie quello di natura omotransfobica. "Frocio" è un insulto, non un espressione "confidenziale" in uso tra compagni di scuola: su questo Rao ha ragione ed è encomiabile la sua presa di parola per ristabilire i termini della questione. Purtroppo però l'omofobia può contare ancora su un negazionismo diffuso, culturalmente complice. E nel contempo, chi esercita un potere si mostra del tutto indisponibile a discutere delle proprie azioni, negli spazi di pubblico dibattito, dov'è giusto e auspicale che tutto venga messo in discussione. Pertanto Vincenzo Rao, dal nostro punto di vista, è vittima di una clamorosa ingiustizia».
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