Stefano Gabbana ringrazia i sei attivisti anti-gay statunitensi che li stanno difenendo


Dieci anni fa volevano dei figli ma, dato che non ne hanno avuti, pare proprio che Dolce e Gabbana vogliano impedire a chiunque altro di averli. Se Forza Nuova li ha già tesserati ad honorem e se la Lega Nord indossa i loro capi nel presentare una serie di conferenze volte a sostenere che i gay siano da ritenersi «una minaccia» alla società, è dalle pagine di Tempi che si è iniziato a santificarli come nuove icone della lotta anti-gay. Nel loro nome si è già chiesto che i reati commessi nei confronti degli omosessuali non siano equiparati a quelli commessi verso i cristiani (ad oggi la legge prevede aggravati per le azioni volte a colpire una religione, ma non quelle dettate dall'orientamento sessuale della vittima), così come si sostiene che la loro visione limitata della famiglia debba essere imposta all'intera società dato che chi non la pensa come loro è da ritenersi un gay ideologizzato e violento.
A lato di una «preghiera del mattino» in cui si invoca l'uso della forza in difesa dei cristiani, il giornale vicino a Comunione e Liberazione racconta di come sei figli cresciuti da coppie gay ringrazino i due stilisti «per il loro coraggio» nell'aver contribuito ad impedire che i bambini italiani possano essere cresciuti in famiglie formate da paesone dello stesso sesso.
Se l'argomentazione è di per sé pretenziosa (sarebbe come dire che basterebbero sei figli nati in famiglie eterosessuali che odiano i propri genitori per chiedere che alle famiglie eterosessuali sia impedito di avere figli, ndr) i volti tirati in ballo sono nomi già noti dell'attivismo anti-gay statunitense.

Heather Barwick è una donna che ha sofferto perché il padre l'ha abbandonata quando sua madre si è messa con un'altra donna, Rivka Edelman è una strenua sostenitrice dell'esistenza di presunte lobby gay, Katy Faust crede che l'omosessualità ci separi da Dio e che se i suoi genitori non avrebbero divorziato se l'omosessualità non fosse esistita, Robert Oscar López si dice certo «il movimento gay è una guerra internazionale al popolo nero», Denise Shick lamenta come suo padre non fosse soddisfatto in una relazione eterosessuale con sua madre e Dawn Stefanowicz se ne va in giro per conto della American Family Association a raccontare che i matrimoni gay devono essere vietati (ha testimoniato anche dinnanzi ai giudici della Corte Suprema di Washington e al Senato dell'Ottawa).
Tutti loro casi sono accomunati da esperienze personali negative, ma in nessuno di essi è mai stato mai riscontrato alcun influsso diretto che potesse riguardare l'orientamento sessuale dei genitori: se l'abbandono può provocare sofferenza, tale sarebbe stata anche se i genitori avessero divorziato per crearsi una nuova famiglia con persone di sesso opposto.
Eppure il tentativo è evidente: si sostiene che la bravura dei genitori non dipenda dalle loro azioni, ma dal loro orientamento sessuale. In altre parole, è preferibile vivere con una famiglia eterosessuale che picchia i figli piuttosto che con due genitori dello stesso sesso che li amano.

Se negli Stati Uniti le testimonianze dei sei ragazzi sono già state ampliamene analizzate e screditate da decenni (non tanto come esperienza personale, ma come prova empirica applicabile ad altri casi), grazie a Dolce e Gabbana l'Italia si ritroverà ora a vederli sbandierati come prova del perché ai figli delle famiglie omogenitoriali debba essere negato il diritto di avere tutele legali da parte di entrambe le persone che li stanno crescendo: morto il padre o la madre biologiche, la legge li «difenderà» rendendolo orfani anziché affidarli all'altro genitore. Tempi è già all'opera nel propagandare quelle tesi, così cime Stefano gabbana si è preoccupato di ringraziarli pubblicamente per supporto dimostrato nei loro confronti. I sei si sono anche impegnati a comprare oggetti dei due stilisti per il resto della loro vita.
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