L'arcivescovo di Torino contro il libero arbitrio: lo stato non riconosca i diritti individuali


Le inaccettabili parole pronunciate dal segretario vaticano (che solo pochi giorni fa ha sostenuto che la vittoria dei diritti civili in Irlanda sia da ritenersi «una sconfitta per l'umanità») stanno iniziando a sortire i primi effetti. L'integralismo cattolico è in fermento e svariati prelati stanno facendo la fila pur di sostenere che la priorità del cristianesimo sia quella di impedire che alcuni uomini possano godere di diritti civili, quasi come se Dio fosse visto come un sadico che ha creato alcuni suoi figli più immeritevoli di altri. Il tutto appellandosi a teorie che ricordano molto da vicino quelle teorizzate dal nazismo nei confronti della razza.

In questo clima d'odio, l'arcivescovo di Torino si è spinto oltre. Cesare Nosiglia, che è anche presidente del Convegno Ecclesiale Decennale di Firenze 2015 della Conferenza Episcopale Italiana, sostiene che gli Irlandesi non siano cattolici dato che hanno dimostrato un'«appartenenza debole alla fede cattolica» attraverso un voto che non è stato integralista quanto Santa Romana Chiesa vorrebbe.
Secondo il prelato, «molti, che pure si dichiarano cattolici, hanno ormai acquisito nella loro mentalità e costume di vita una netta separazione tra vita privata e vita pubblica, per cui la sfera dell’appartenenza religiosa è vissuta come una scelta individuale. Si ragiona così: "Io sono cattolico e credo nella famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ma se un altro la pensa diversamente, è giusto che lo Stato laico gli offra la possibilità di soddisfare i suoi desideri garantendogli uguali diritti"».

Al di là della presunzione di chi crede che i cattolici necessariamente debbano pensarla come lui sul fatto che due gay non siano una famiglia, l'uomo ha anche sostenuto che «considerare il matrimonio un fatto privato impedisce di coglierne il valore umano, naturale e sociale che esso ha, prima ancora che religioso o conseguente a una scelta dei singoli. In questo modo la vita comune, elemento insostituibile della convivenza sociale, si riduce alla somma di tanti individui separati l'uno dall'altro e autoreferenziali. Il compito dello Stato diventa quello di promulgare leggi che si limitano a riconoscere ogni scelta individuale o di gruppo invece di sostenere soprattutto quelle che contribuiscono a promuovere in modo determinante i valori comuni ritenuti essenziali per la l'intera società».

In altre parole, lo stato non dovrebbe consentire alcuna libertà individuale ma dovrebbe creare legge che impongano l'odologia voluta da una qualche lobby. Peccato che ciò presupponga si smetta di parlare di democrazia ma si stia chiedendo l'introduzione di una dittatura in cui il pensiero di una parte sia imposto con la forza all'intera cittadinanza.
Il tutto con gravi ripercussioni anche sulla dottrina, dato che è lì che si sostiene che Dio abbia deciso di donare il libero arbitrio: sostenere che si debba impedire la libertà di scelta è come chiedere di voler imporre la proprioa volontà a ciò che si reputa sia stato l'errore di un dio incapace. Detto da un sacerdote, non è una bella cosa.
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