Con quale diritto Avvenire insulta la dignità altrui?


Non vi è alcun dubbio che Avvenire sia un giornale politico impegnato nella proposizione di tesi che vengo inculcate ai lettori. Gran parte degli articolo sono tutt'altro che obiettivi, ma scritti per comunicare ciò che il lettore deve pensare.
Tra le sue vittime preferite c'è sicuramente la comunità lgbt: il quotidiano non manca mail di festeggiare ogni qualvolta i loro diritti vengono calpestati e lancia anatemi se ciò non accade. Ed è proprio quest'ultima la via scelta dal quotidiano dei vescovi per attaccare il Sindaco di Genova dopo la prima trascrizione di un matrimonio fra persone dello stesso sesso contratto all'estero.

Già nel titolo il quotidiano afferma che il gesto sia da interpretare come pura «demagogia» e non manca di scrivere fra virgolette il termine «nozze». Quel linguaggio viene utilizzato per l'intera durata dell'articolo: si afferma che «il Comune di Genova ha trascritto il primo "matrimonio" celebrato all'estero tra persone omosessuali. La trascrizione è stata effettuata dal sindaco Marco Doria che ha registrato l'atto di due genovesi di 34 e 43 anni che si erano "sposati" a Londra».
Orbene, i due ragazzi sono dovuti andare a Londra a sposarsi (dato che i vescovi non vogliono possano farlo nel loro Paese) ed hanno un certificato su cui è scritto nero su bianco che sono sposati. Su quel certificato non c'è alcuna virgoletta ed è quindi evidente come la loro aggiunta sia stata scelta per mistificare i fatti ed indicare che la loro unione non debba essere ritenuta vera o meritevole di diritto. Insomma, è un vero e proprio insulto alla dignità delle persone a fonte di una cerimonia legale a fanno seguito seguono diritti e anche doveri riconosciuti dallo stato Inglese. Ad aggravare, la situazione è anche come Avvenire paia conoscere e regole dell'italiano dato che quando parla di poligamia, parla tranquillamente di «due mogli» senza aggiungere alcuna virgoletta offensiva.

Le mistificazioni però non finiscono qui. L'articolo poi aggiunge:

Nonostante le giustificazioni addotte dal primo cittadino («La trascrizione degli atti di matrimonio validamente celebrati all'estero è dovuta per legge»), l'atto del sindaco non ha alcun valore legale, come precisa l'avvocato Enrico Bet, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici di Genova. «Siamo di fronte ad un atto nullo ed inutile».

Anche in questo caso pare che l'autore dell'articolo non conosce le più basilari regole dell'italiano. Il primo cittadino ha «affermato» quella frase, non si è certo «giustificato» (termine che indicherebbe l'ammissione di un errore). Allo stesso modo c'è da chiedersi con quale diritti si dia per certa l'opinione personale di un avvocato (per giunta di parte) dato che in Italia le decisione dovrebbero essere prese dai giudici dopo un processo, non certo da avvocato la cui personalissima opinione (contraddetta da numerosi colleghi) non è altro che un'opinione e non una verità assoluta.

Si aggiunge poi:

Bet ha anche ipotizzato che si possa ripetere il “flop” già registrato in seguito all’istituzione del registro delle unioni civili che, istituito a Genova due anni fa, ad oggi ha visto l’adesione soltanto di 65 coppie. Tra queste quelle omosessuali sono la minoranza (12 gay ed 11 lesbiche).

Apprendiamo così dal quotidiano dei vescovi che quelle 65 coppie non dovevano veder riconosciuti i propri diritti perché troppo poco numerose. Purtroppo Avvenire non ci fornisce la numerazione esatto di persone necessarie affinché un diritto sia considerato tale, ma evidentemente i vescovi non ritengono che i diritti debbano essere essere considerati tali se ad esserne interessati sono poche persone (quindi se ci fossero due o tre persone ridotte in schiavitù, sarebbero poche e non varrebbe la pena occuparsi del loro diritto alla libertà).

Insomma, discorsi d'odio evidenti e mancanze di rispetto che troppo spesso paiono andare al di là della legittima libertà di opinione. Ancor più per un giornale che viene pagato da noi.
Già, perché come spiega un interessante reportage realizzato da Il Post (i dati si riferiscono al 2012 ma non sono molto dissimili da quelli successivi) Avvenire risulta il quotidiano più finanziato con ben 4.355.324,42 euro di soldi pubblici. Giornali come Repubblica, Corriere della Sera o La Stampa non ricevono contributi pubblici diretti (così come le testate che rappresentano il 90% del totale delle copie diffuse).
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