Famiglia Cristiana apre alle unioni gay (ma solo se varranno meno di quelle eterosessuali)


È sulle pagine di Famiglia Cristiana che è stata pubblicata una lettera scritte dai genitori di una ragazza lesbica. I due pongono interrogativi sulla posizione omofoba del clero, chiedendo «perché mettere in contrapposizione la "famiglia tradizionale" col diritto degli omosessuali ad avere il riconoscimento a una vita normale, senza infingimenti? Non sono anch'essi figli di Dio?». Giustamente notano come «le persone dovrebbero essere valutate in base ai comportamenti».
Raccontano anche che «noi abbiamo visto quanto ha sofferto nostra figlia, appena ha scoperto d'avere un orientamento omosessuale. Ora, però, dopo che ha incontrato una compagna altrettanto in gamba (sono entrambe laureate, generose e oneste), noi siamo contenti per loro. Da dieci anni le vediamo unite, serene e finalmente felici. Ci domandiamo: perché dovrebbero rinunciare a essere una coppia? Riteniamo, infatti, che riconoscere dei giusti diritti alle coppie omosessuali non significhi disconoscere o danneggiare la famiglia tradizionale. Le situazioni vanno valutate a fondo, con misericordia».
La coppia ha chiesto l'anonimato dato che all'interno della Chiesa Cattolica è pericoloso avere atteggiamenti che non calpestino la dignità dei gay. «Purtroppo, c'è ancora tanta gente che ci discrimina», dicono.

Nella sua risposta Don Antonio Sciortino dice: «Nessuno, quindi, va discriminato per nessuna ragione. Va rispettata la dignità di tutti. Anche il legislatore deve prendere atto di nuove situazioni nella società e riconoscere determinati diritti». Ma quella che appare un'apertura alla legge sulle unioni civili viene presto ridimensionata nell'aggiungere: «Ma la famiglia è altra cosa. Non vanno chiamate e trattate allo stesso modo realtà ben differenti».

Pare dunque che la posizione sia quella di sostenere che si possa accettare un qualche diritto purché sia chiaro che l'eterosessualità debba comportare privilegi. Eppure è difficile non notare come la frase finale paia contraddire le precedenti.
Dinnanzi due realtà che hanno le stesse motivazioni, i medesimi progetti di vita e le stesse finalità, il voler sostenere debbano essere previste delle discriminanti è già di per sé una discriminazione e da sempre i distinguo non hanno mai portato a nulla di buono. Se poi dovessimo individuare come finalità la procreazione (così come indicato in altre sedi) è difficile non notare come non sia previsto alcun obbligo in tal senso da parte dello stato. Perché alcune coppie senza figli dovrebbero meritare più diritti rispetto ad altre?

E pensare che la nostra Costituzione ha scelto una definizione bellissima. Dice che lo stato non ha alcuna facoltà di scelta e che il suo compito è solo quello di «riconoscere» una «società naturale». E cosa c'è più naturale di due persone che si vogliono bene e scelgono di percorrere insieme il proprio progetto di vita?
Peccato che i soliti burocrati si siano attivati nel creare distinguo in un termine volutamente pre-giuridico, spesso ricorrendo alle più bieche mistificazioni pur di negare la naturalità di un orientamento sessuale del tutto naturale.
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