La Corte dei Conti boccia il governo: sono troppi i fondi statali destinati alla Chiesa Cattolica


Meno della metà degli italiani decide a chi destinare l'8 per mille e, a dispetto del 37,93 per cento di contribuenti che ha espressamente indicato la Chiesa Cattolica, alle casse vaticane è stato destinato l'82,2% del totale. Il tutto grazie ad una ripartizione che pare sia stata disegnata proprio favorire un'unica confessione.
Le cifre sono da capogiro. Oltre un miliardo e 200 milioni di euro annui finiscono nelle mani della Chiesa Cattolica e ad essi si sommano i contributi alle scuole di orientamento confessionale e agli oratori; la retribuzione degli insegnanti di religione nelle scuole pubbliche; i contributi alla manutenzione degli edifici di culto; i contributi comunali per l'edilizia di culto; il 5 per mille dell'Irpef richiesto da molti enti religiosi; i contributi pubblici per manifestazioni ed eventi religiosi. Ci sono poi le agevolazioni e le esenzioni fiscali, le erogazioni deducibili, l'esenzione dall'Imu, i progetti presentati dai singoli comuni e i milioni di euro destinati al restauro di chiese, parrocchie e quadri di proprietà della diocesi.
Insomma è un rubinetto aperto che persino la Corte dei Conti ha faticato a quantificare. Eppure è proprio questo ad aver spinto i giudici contabili a bocciare la politica. Si lamenta l'opacità del sistema e la mancanza di informazione sulla destinazione dei fondi in caso di mancata indicazione (solo dal 2006 è stata introdotta una nota in caratteri minuscoli). Inoltre il governo non ha mai provveduto a promuovere una destinazione statale dei fondi dell'Irpef nemmeno in occasione dell'introduzione della possibilità di destinare le risorse all'edilizia scolastica (un'opzione molto sentita dalla collettività ma che non tutti conoscevano). Di contro la Cei ha speso 3 milioni e 530mila euro per la sola pubblicità sulle reti Rai ed il Vaticano ha persino lanciato un concorso denominato "ifeelcud" che prevedeva dei premi per le parrocchie che fossero riucite a convincere il maggior numero di fedeli a compilare l'opzione esplicita nel proprio Cud.
I dati mostrano anche come l'Italia sia la nazione europea con il maggior finanziamento pubblico alle confessioni religiose, nonostante i conti pubblici vacillino e quei soldi sarebbero importanti per il bene comune (basi pesare come l'8 per mille destinato alla Chiesa raggiunga i due terzi del totale dei fondi destinati alla conservazione del patrimonio artistico nazionale).
La Corte ha poi denunciato anche come «la discrezionalità governativa nella selezione delle confessioni e quella parlamentare nell'approvazione, con l'eventuale esclusione di alcune, si configura come una violazione del pluralismo confessionale». Ma la cosa forse più importante è come i giudici abbiano concluso che il sistema di destinazione delle risorse pubbliche alla Chiesa necessiti una riforma.
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