Secondo Civiltà Cristiana, il diritto divino legittima la discriminazione dei gay


«Chi si dichiara gay non può ricevere la comunione» e «a una persona che non si pente, persevera ostinatamente nel peccato, addirittura se ne vanta e ne fa una battaglia, non è possibile dare nemmeno l'assoluzione». È quanto vuole sostenere un articolo di Pierfrancesco Nardini apparso sul numero di luglio della rivista Civiltà Cristiana e diffuso dal sito omofobo Basta Bugie.

La teoria sostenuta è che:

Non si discrimina nessuno se gli si attribuisce quel che merita sulla base della sua condotta (se l'omicida è condannato all'ergastolo, metterlo in galera per il resto della sua vita è un diritto della comunità e la logica conseguenza delle sue azioni). Non vi è nessuna discriminazione, nessuna differenza rispetto a chi ha avuto una condotta diversa (l'uomo o la donna onesti e rispettosi della vita altrui).
Quello che si vuole dire è che non ci può essere discriminazione nel trattare diversamente due situazioni diverse.
Arriveremmo altrimenti ad una contraddizione, nei fatti oltre che in termini. Ed anche ad una vera discriminazione, opposta: quella di chi ha una condotta giusta e non vede punito chi invece non l'ha avuta.

L'articolo premette che un gay che non rinunci a vivere la propria sessualità (perché qualcuno ha deciso che non debba farlo) debba essere discriminato:

La Chiesa cattolica non discrimina nessuno. Da sempre infatti si distingue tra inclinazione omosessuale (che non è peccato, ma disordine) e pratica omosessuale (che invece è peccato grave). Se dunque una persona con tendenze e pratiche omosessuali si pente, si confessa con il proposito di non peccare più, quindi non ricade più nella condizione precedente, non ha nessun tipo di problema a ricevere la Comunione. Così come chiunque confessi qualsiasi altro peccato grave [...] Se una persona non si pente, persevera ostinatamente nel peccato (qualsiasi peccato grave non solo quello della pratica omosessuale), addirittura se ne vanta e ne fa una battaglia, non ha senso dare il perdono. Anzi, non è proprio possibile dare l'assoluzione. E questo per diritto divino.

Interessante è notare come la base di partenza sia il sostenere che la fede e la grazia non sia una condizione personale ma un qualcosa che debba essere scelta da altri. La Chiesa dice di non voler negare la comunione ad assassini e mafiosi perché sarà poi Dio a giudicarli, ma dinnanzi ad un gay si arroga il diritto di giudicare (forse perché teme che anche Dio ritenga che sia l'astinenza e non l'omosessualità ad essere contro natura).

L'articolo si lancia poi nel sostenere che «non ci sono dubbi sul fatto che la pratica omosessuale sia peccato mortale» e che «la preclusione non ha luogo perché è omosessuale, ma perché manca il vero pentimento». Ed ancora, si sostiene che «ancora più importante è ricordare che l'atto sessuale tra persone dello stesso sesso rientra nei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, dato che è peccato impuro (fornicazione) contro natura (stesso sesso). Non serve aggiungere altro».
Si sostiene che la mancata condanna dei gay sia un atto di «discriminazione» versi i «fedeli in stato di grazia che non vedono differenza con quelli in peccato grave». E, inneggiando alle teorie di Putin, si ostiene che ci esista chi «propaganda l'omosessualismo» (tipico neologismo forgiato dai neo-fascisti di Forza Nuova).

Ma dinnanzi a questo lungo (e noioso discorso) la domanda resta solo una: perché versare fiumi di inchiostro per sostenere che l'omosessualità sia un peccato? In fondo anche i rapporti extraconiugali vengono condannato, ma i giornali dell'integralismo cattolico non pubblicano certi dieci articolo al giorno per sostenerlo. Evidentemente lo si dice per inculcare quell'idea, dato che si tratta di una visione molto opinabile. Ritenere che un elemento naturale di una persona sia di per sé un peccato (così come sino a pochi anni fa veniva ritenuto un peccato l'essere mancini) è una via rischiosa. Significa sostenere che Dio abbia sbagliato e che l'umo sappia riconoscere gli errori di Dio e correggerli.
La volontà di guardare la pagliuzza nell'occhio del fratello al posto di dar peso alla trave che si ha nel proprio occhio non è certo un atteggiamento cristiano, ma è ciò che anima un intero movimento che intende usare la religione per legittimare qualsiasi forma odio (spesso anche con scopi politici) in un clima che rasenta la blasfemia. Perché è davvero difficile che chi scrive simili inneggiamenti all'odio possa davvero credere in Dio.
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