Ugule d'oro: "Il Volo" sulla cresta dell'onda


Sulla scia dorata di Caruso (mito lontano ma non spento) e attenti a non deviare dal solco dovizioso tracciato, prima di loro, da Pavarotti & Friends come dall'etereo Bocelli, i tre ragazzi del Volo hanno scalato ogni vetta. E oggi fanno sfracelli nella Top Ten con l'album numero 4: Sanremo grande amore. Titolo fessacchiotto, per un cd che monetizza il trionfo uno e trino che i ragazzi del Volo ottennero a febbraio, sul palco dell'Ariston. Quasi introvabile nei negozi e radio-ossequiato con mille passaggi, il cd sbandiera cose risapute e interpretazioni tanto-per-cantare. Ma sfoggia anche due o tre cover perfette, di livello eccellente. Benedetta schizofrenia dei discografici! Regia di progetto mediocre, concertazione svogliata (con voci così superbe!), ripescaggio ruffiano e senza slanci di vecchi must festivalieri.

Il brano vincitore a Sanremo 2015 è Grande amore: vero cavallo di battaglia da caffè all'aperto, una cantata avvolgente che non dà requie, studiata dagli autori (Boccia & Esposito) come tormentone per l'estate a venire. Con la stessa arma letale, i guerrieri del Volo hanno poi corso da superfavoriti all'European Song Contest di Vienna, nel maggio scorso. Finendo terzi - dietro la russa Polina Gagarina - perché surclassati dalla simpatica e sbrigliata modernità dello svedese Mans Zelmerlow. Nome tostissimo, ma strafigo da paura (chi ha detto che in scena l'avvenenza non paga?), su cui sarebbe da allestire prestissimo un album di approfondimento.

Come si chiamano i ragazzi del Volo lo sanno tutti. Sono il bel Gianluca Ginoble, nato a Roseto degli Abruzzi (Teramo); Piero Barone, di Agrigento, e Ignazio Boschetto, anche lui siciliano ma di Marsala. Il loro primo cd è stato Il Volo (2011-2012), prodotto da Humberto Gatica e Tony Renis con Diane Warren, che includeva una bella versione di Volare, la canzone-inno-d'Italia più famosa nel mondo. Il secondo album, We Are Love (2012-2013), proponeva lussuosi duetti con Placido Domingo e Eros Ramazzotti. Terzo cd il fortunato Buon Natale - The Christmas Album (2013-2014), che in Usa schizzò subito in vetta alle classifiche Billboard Holiday Album e Billboard Classical Albums. Un evergreen alla Sinatra o alla Michael Bublé, per capirsi: draga infallibile di diritti Siae sine die su scala mondiale.

E oggi? Ecco il punto. Ovunque sbarchino i Tre Tenorini (infame nickname, affib-biato in tv nel 2009, quando si esibirono a Ti lascio una canzone, la nota nursery canterina condotta in coccole e tacchi da Antonella Clerici), interi stadi, arene sterminate, auditori e Opera House si riempiono per incanto, in Italia come in Europa e Oltreoceano. Sold out è la norma: autentico toccasana per i conti in banca e per il tenore di vita (tenore anche quello!) che i tre prediligono. Sempre in corsa tra un aereo e l'altro, bersagliati con centinaia d'inviti dai ricchi e famosi (Barbara Streisand e Obama fra i primi), riveriti con premi, titoli e lapidi, i tre giovanotti – tra 20 e 22 anni - guadagnano cifre spropositate. Prendevano un milione di euro a concerto già prima di Sanremo. Quanto incassano oggi, tra diritti, royalties e ospitate a cachet, si può solo immaginare dai macchinoni che guidano e dalle suites sfarzose dove passa-no le notti.

Tornando all'album, quattro solchi su sette sono stramodesti. Con Ancora (1981) di Eduardo De Crescenzo il Trio non regge per nulla il confronto con il capolavoro del napoletano. Solo il grido “Perché io da quella sera Non ho fatto più l'amore Senza te!” suona plausibile, per il tipone di bell'aspetto che canta, compìto ma anaffettivo. Il resto è privo di qualunque pathos. Vacanze romane (1985) dei Matia Bazar dà un effetto spiazzante, quasi en travesti. Gli arpeggi aerei della Ruggiero impreziosivano non si sa come un testo demente. Versi come: “Ma Greta Garbo di vanità Tu con il cuore nel fango!” o “L'oro e l'argento, le sale da tè Paese che non ha più campa-nelli” fanno scompisciare, se a cantarli sono tre palestrati spesso al sole dei Tropici, e sempre in favore di teleobiettivo.

Meglio allora Canzone per te (1968): non si rimpiange né il fraseggio di Endrigo né la voce di Roberto Carlos. Tonfo totale, invece, Romantica (1960): lontanissimi sia il garbo di Rascel che l'urlato di Dallara, sexy e scomposto. Un applauso finale merita L'immensità (1967). Archiviato lo stile vintage degli interpreti, Don Backy e Johnny Dorelli, i nostri Pavarottini in salsa Neripercaso prendono una via diversa. E il loro Operatic Pop – neologismo coniato su misura – più che il vocione di Big Luciano arieggia, sotto sotto, il pianobar di nonno Dorelli.

Claudio Barbati
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