Avvenire benedice le diocesi che vogliono "curare" i gay


Pare proprio che a certi cattolici piaccia un mondo ridefinire le parole. Dopo aver trasformato la «famiglia» in un concetto esclusivo, dopo aver ridefinito che «pro-vita» significhi lottare contro la vita altrui e dopo aver assegnato al termine «gender» il compito di nascondere la vecchia omofobia e misoginia, ecco che la tortura dei gay diviene una «preghiera».
L'affondo è del giornale dei vescovi, il quale si è lanciato in una strenua difesa dei gruppi che sfruttano la fragilità di persone gay che hanno difficoltà ad accettare la propria omosessualità, spesso proprio a causa dello stigma sociale che la Chiesa si occupa di creare ed alimentare.
Attraverso un articolo intitolato "Omosessuali, vietato pregare", Avvenire si occupa più specificatamente dell'apertura a Reggio Emilia di un centro della Courgae International, ossia di un gruppo che all'estero si auto-definisce promotore delle screditate "terapie riparative" dell'omosessualità ideate da Nicolosi. Il caso ha creato indignazione da parte della popolazione dei media locali, ma i vescovi si affrettano a sostenere che tutto sia attribuibile alla «volontà di strumentalizzare la condizione esistenziale di persone che soffrono».
A soffrire ovviamente sarebbero gay, così come il motivo della loro "sofferenza" sarebbe un orientamento sessuale diverso da quello che la Chiesa sostiene sia l'unico giusto e meritevole di rispetto.

Degna di un libro di fantascienza è la ricostruzione dei fatti fornita da Avvenire, pronto a sostenere che lo scopo di quei gruppi sia «la riflessione sulla propria sessualità e l’accoglienza della Parola di Dio come regola in base alla quale organizzare la propria vita. Difficile cogliere in questo programma spirituale un'offesa alle condizioni delle persone omosessuali».
Il solo fatto che l'omosessualità venga considerata «una condizione» già basta a far storcere il naso. Eppure in quotidiano rincara la dose nello scrivere:

La diocesi di Reggio Emilia, confermando il suo appoggio alle attività di Courage, ha espresso dolore per il fatto che persone «che si ritrovano a pregare siano violate così pesantemente nella loro privacy». Mentre la diocesi di Torino ha sottolineato come sia inaccettabile che «incontri e riunioni a cui le persone partecipano liberamente e con la garanzia della riservatezza vengano strumentalizzati per ottenere una qualche porzione di 'visibilità'. Non è in questo modo che la Chiesa di Torino è impegnata nel confronto e nell’accompagnamento delle persone che vogliono confrontarsi sulla propria sessualità in relazione alla vita spirituale».

L'articolo passa così a presentare la verità raccontata dai protagonisti di quell'«accompagnamento» verso l'annullamento della propria sessualità, i quali si dicono certi che «molte persone ritengono legittima e attraente una proposta di vita affettiva in armonia con l’antropologia cristiana perché la castità non è un 'obbligo' ma viene vissuta come scelta di amore per Dio e per gli altri».
Aggiungono poi che «ogni uomo o donna che partecipa liberamente alle attività di Courage sa che lì può trovare aiuto spirituale, accoglienza e amicizia, ma non una terapia medica, come viene ricordato all'inizio di ogni incontro».

Ed infatti persino nella loro brochure si parla proprio di corsi terapeutici per ridurre l'attrazione verso persone dello stesso sesso, finendo così per contraddire le loro stesse parole:

Medici, psichiatri, psicologi, assistenti sociali ed altri professionisti della salute mentale sono concordi nel ritenere che l'A.S.S. può essere provocata da vari fattori, tra cui la predisposizione, l'ambiente, le esperienze dell'infanzia e gli abusi sessuali.
I membri di Courage sono liberi di sottoporsi ad una terapia professionale per comprendere più a fondo e possibilmente ridurre la loro attrazione per lo stesso sesso. Ma non vi sono moralmente obbligati. Non vi è alcuna garanzia che la terapia possa eliminare l'A.S.S., né essa è sempre disponibile o economicamente accessibile a tutti. Courage non offre una terapia professionale; siamo solo un gruppo di sostegno spirituale per persone con A.S.S. che cercano un aiuto per vivere una vita casta.

Quindi diranno pure che non offrono direttamente quelle terapie, ma indubbio è che le legittimino e le sponsorizzino. Tanto basta per rendersene complici.
Lo stesso Avvenire non pare uscirne con la mani pulite. Se oggi dice che le "terapie riparative" sono una «pratica psicoterapeutica ormai desueta e che vuol dire tutto e niente», nel gennaio di quest'anno si lanciò in una crociata in difesa di chi sosteneva che «i disturbi dell'identità sessuale» potessero essere trattati con «ottime possibilità di successo» attraverso le modalità utilizzate quando l'omosessualità era considerata una grave patologia. Ecco dunque che l'opinione pare cambiare in continuazione, diffondendo ciò che crea il discriminazione mentre ci si premura di evitare una denuncia per pratiche dannose che potrebbero compromettere la salute di chi vi ci si sottopone.

Avvenire sostiene anche che sia «difficile cogliere in queste iniziative pastorali le ragioni di proteste così veementi», forse interessandosi poco dei danni che tutti gli psicologi sono soliti attribuire a chi usa la credenza religiosa per infliggere sensi di colpa nelle proprie vittime. Ovviamente loro dicono che le vittime si offrano volontariamente ai loro carnefici, eppure ciò finirebbe per il legittimare chi spinge giù da un ponte un suicida al posto di salvarlo: sarà pur vero che voleva «volontariamente» togliesi la vita, ma aiutarlo a farlo non è certo una missione pastorale.
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