L'integralismo cattolico dichiara guerra alle aziende che non discriminano


C'è chi prova a mettere sullo stesso piano chi chiede diritti per tutti e chi ritiene che i diritti debbano riguardare solo sé stessi, quasi come se non i fosse differenza fra chi conferisce pari dignità e chi inneggia a privilegi esclusivi. Ed è così che agli integralisti non piace chi accoglie tutti, sostenendo che la mancata discriminazione altrui sia da interpretarsi come un affronto personale.
Da Firenze ci giunge la storia di don Francesco Ricciarelli, parroco di Serre di San Miniato, che si è recato in una Coop per restituire la sua tessera perché infastidito da una pubblicità che conferiva pari dignità a tutte le famiglie. Nell'immagini erano raffigurate delle mele, due rosse, due verdi, una rossa e una verde con la scritta: «Qualunque sia la tua famiglia, la Coop dei tu».
Sia mai, per don Francesco la famiglia era solo quella decisa da lui. Ed è così che su facebook ha annunciato la sua volontà di chiudere ogni contatto con una catena di supermercati che non ha una selezione all'ingresso: «La Coop non sono io -ha scritto- iconsegnata la tessera socio. Mi chiedo cosa spinga un supermercato a prendere posizione su questioni altamente divisive e perdere così una parte di clienti».
ed ancora, a Pisa. un militante dell'Ncd si è recato in un negozio Ikea per riconsegnare la sua tessera. Anche in quel caso le sue ire sono state destate da una pubblicità in cui erano raffigurate varie forme di famiglia e non solo quella che rispecchiava il suo personale vissuto.

La Bussola Quotidiana risulta una più agguerriti contestatori di un mondo inclusivo senza discriminazioni, al punto che sul proprio sito arriva a scrivere: «Le campagne pubblicitarie pro-gay nel giorno del Family Day sono state soltanto l'ultimo tassello di un odio alla famiglia naturale che viene da lontano e che la sta uccidendo A lanciare queste non soltanto con le proposte legislative, ma anche con le politiche economiche degli ultimi decenni. Un attacco che aggrava la crisi economica, da cui non si uscirà se non invertendo la direzione».
In poche parole sono riusciti a sostenere che la «famiglia naturale» non includano le coppie formate da persone dello stesso sesso, che la mancata discriminazione sia una forma di «odio» verso la famiglia eterosessuale e che la crisi economica dipenda dai gay.

Il tema viene poi ampliato in un articolo dal titolo "Così gli spot rieducano il popolo al gay-pensiero".
Si parte con l'elenco di tutte le società che devono essere evitate perché non discriminano, partendo dalla Coop e l'Ikea. Lamentano come «capitano barbuto della Findus» sia stato «sostituito con un coming out nel tinello» e ironizzano su come quello sia «un quadretto degno della migliore tradizione Mulino Bianco». Poco chiaro è se si riescano alla famiglia di Banderas e della gallina Rosita.
A quel punto sentenziano che «il viaggio nella pubblicità gay-friendly conduce lontano, perché è a tutti gli effetti lo sdoganamento tramite marketing dell’equiparazione della famiglia naturale ad ogni altro tipo di unione». E se ancora un vota bisognerebbe contestare quell'uso improprio del termine «famiglia naturale», al limite dell'accettabile è il loro sostenere che quegli spot «insistano soprattutto sull'aspetto emozionale». A dirlo è un sito che ha basato la sua campagna contro le unioni civili cavalcando l'effetto emozionale di una cosa che non c'entrava nulla con il testo, ritenendo che parlare di maternità surrogata potesse portare buoni frutti per impedire il riconoscimento dell'unione fra due uomini o due donne.
E che il loro problema sia quello viene rimarcato nell'uso delle solite virgolette (messe lì solo per sostenere che certi termini non debbano essere usati per realtà a loro poco gradite) nel criticare Disney Junior che mostra «anche l’esempio di “famiglia” formata da due uomini con bambino, sorridenti e festanti». All'indice c'è pure Telecom Italia perché colpevole di aver vinto il premio GLBT Diversity Index 2015, mostrando dunque come ad infastidirli siano anche le aziende che garantiscono dignità lavorativa ai dipendenti gay.
Ma ciò che lascia davvero senza parole è come concludano il tutto sostenendo che la mancata discriminazione li leda e leda la loro «libertà di educazione». Insomma, dicono che se loro vogliono indottrinare i figli, nessuno nel mondo può pensarla diversamente. In fondo è anche quello che vogliono ottenere con le loro "scuole parentali", ossia strutture in cui i genitori decidono che cosa debba essere detto ai figli e cosa debba essergli tenuto nascosto, isolandoli dalla società ed impedendogli qualsiasi contatto con altri bambini che possano avere opinioni diverse da quella che si è deciso di inculcare nelle loro menti.

Ma, soprattutto, questa non era la gente che gridava "alla gaystapo" quando qualcuno aveva osato criticare le politiche aziendali di Italo?
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