Adinolfi si inventa finte minacce di morte, ma poi incolpa i gay se le sue parole hanno spaventato la figlia


Mario Adinolfi ama molto inventarsi finte micce di morte per poter lanciare sterili accuse a danno di chiunque osi contrastare la sua propaganda omofoba, ovviante provvedendo anche a fare nomi e cognomi in situazioni che possano dar vita alle violente ripercussioni dei suoi seguaci. Ma non solo, Adinolfi ama anche usare le sue figlie a scopo promozionale, in quel clima in cui non ha mai esitato a portale sul palco di manifestazioni integraliste o di scagliarle nel tritacarne mediatico ogni qualvolta ha ritenuto di poterne trarre un profitto. Ed è in quella chiave che il leader ultra-integralista sfrutta ancora una volta sua figlia e, dinnanzi alle sterili "minacce di morte" che è stato lui a creare e ad auto-attribuirsi, è su Facebook che scrive:

E Clara chiede: "Perché ti vogliono uccidere papà?". Dobbiamo sopportare proprio tutto? C'è un limite?

In calce pubblica persino l'immagine di un articolo in cui è lui a dire di essersi sentito chiamato in causa da una carta da gioco di carte in cui chi "uccide" la figura dell'omofobo riceve "un danno", ossia una penalità. Ma è facendo finta di non conoscere il significato delle parole e spergiurando che quella sia una evidente minaccia che inviterebbe la gente ad ucciderlo.
Ed è quella medesima tesi che viene riproposta sulle pagine de Il Mattino, di Intelligo e di Blitz Quotidiano, i quali danno notizia di una presunta sospensione che Adinolfi dice di aver subito da Facebook. Ma anche in questo caso l'ultra-integralista risulta l'unica fonte delle sue stesse parole e sulla sua pagina non si registra alcuna interruzione («Ho ricevuto un messaggio di scuse da Facebook, il profilo è ripristinato» scrive in un messaggio, ancora una volta senza allegare alcuna prova documentale della sua teoria).

Eppure è in quel contesto in cui Adinolfi rappresenta l'alfa e l'omega di ogni sua teoria persecutoria che il leader integralista aveva spacciato per verità rivelate alcune affermazioni molto discutibili e prive di qualunque prova. Con la sua solita ferocia, ha dichiarato:

È una situazione surreale. Io lo chiamo il paradosso dell’algoritmo. Immagino che per bloccarmi ci siano state segnalazioni organizzate dopo l’articolo in merito comparso su Libero. Ma è ridicolo: ci sono delle persone che creano un gioco dove si chiede di uccidermi, io denuncio la cosa e quello bloccato dal social sono io. È una cosa senza alcun senso e spero ci sia qualcuno, al di là della parte tecnica che riguarda l’algoritmo, che ragioni davvero su cosa è successo.

Insomma, in quella sua convinzione che la realtà non sia quella che tutti conosciamo ma quella che lui ha creato secondo i propri interessi, l'uomo rivendica il suo pieno diritto a poter accusare tutto e tutti di qualunque cosa desideri, senza mai volerne pagare alcuna conseguenza. Immancabile è anche il suo spergiurare che qualcuno abbia organizzato una non meglio precisata congiura contro di lui, in quel clima di accuse infondate che è la chiave di volta della sua campagna di promozione all'odio.

Ma nonostante si sia dinnanzi ad una polemica sterile che è stato lui a creare, che lui ha fomentato e che lui pare l'unico a voler sostenere, Adinolfi fa pure la vittima nell'affermare:

Intanto, però la persona che ha organizzato il business sta lì a godersi i profitti del giochino dove mi chiama ‘omofobo’ e dice di uccidermi per fare più punti mentre io non solo vengo bloccato per un mese da Facebook, ma devo anche spiegare a mia figlia perché sui giornali c’è scritto che mi vogliono ammazzare.

In quell'uso in cui Adinolfi ama usare le sue figlie come strumento di auto-promozione, forse bisognerebbe ricordargli che a porgli la medesima domanda potrebbero essere tutte quelle sue vittime che devono spiegare ai propri figli che la legge li reputi degli orfani solo perché sgraditi ad Adinolfi. O forse potrebbe anche spiegarci perché migliaia id giovani debbano subire cartelli ingiuriosi verso la loro natura che vengono puntualmente esposti durante i suoi raduni omofobi. Ed ancora, spiegazioni dovrebbero essere fornite sul perché il suo business si basi sull'oppressione delle minoranze e su una promozione di fantomatiche "terapie riparative" che sono costate la vita a numerosi adolescenti. Non va mai dimenticare, infatti, che lui si lamenta perché dice che qualcuno vuole ucciderlo per finta, ma la discriminazione e la violenza da lui promosse finiscono con il distruggere vite vere.
E dato che il leader ultra-cattolico pare avere la memoria molto corta, forse varrebbe la pena ricordargli che lui era l'uomo che difendeva strenuamente don Pusceddu, sostenendo che fosse doveroso permettere ad un sacerdote di poter salire sul pulpito per proclamare che i gay «meritano la morte».
Ed è in quella contraddizione che lo caratterizza che lo troviamo pronto a difendere chi invita qualcuno ad ammazzare qualcun altro in base a caratteristiche naturali, ma poi inveisce contro un gioco di carte in cui lui dice di essersi riconosciuto anche se tale asserzione si è del tutto priva di qualsiasi indicazioni oggettivo al riguardo. E a meno che Adinolfi non accusi di omicidio anche chi attacca la Kamchatka durante una partita a Risiko, pare alquanto evidente la sua strumentalizzazione e il suo strenuo tentativo di limitare la libertà altrui attraverso la costante minaccia di violente ritorsioni basate su articoli e dichiarazioni in cui lui emette condanne di morte. Il tutto nella più totale noncuranza di come l'Italia si basi sul principio in cui tutti sono innocenti sino a prova contraria... e di prove oggettive contro la sua azione denigratorie ne sono state presentate tante, mentre lui gioca a citare sé stesso come riprova di ciò che dice.
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