Costanza Miriano: «I gay si suicidano perché gay, non perché vittime di omofobia. Vanno curati»


Amare una persona significa rifiutarsi di accoglierla per ciò che è: bisogna obbligarle a cambiare a diventare come i nostri più perversi pregiudizi la vorrebbero. È questa la folle teoria sostenuta da Costanza Miriano sul suo blog. Ovviamente il riferimento è a quei gay che lei sostiene debbano essere spronati diventare personaggi ricolmi di odio verso sé stesso, quasi some come quel Giorgio Ponte che spesso la accompagna durante i suoi convegni per raccontare ai presenti quanto si faccia schifo.

Le premesse del suo articolo sono già un programma. Scrive:

Siccome sulla misericordia siamo tutti d’accordo, più o meno come sul no al degrado, facciamo un piccolo esercizio pratico. Parliamo piuttosto di come volere bene, fattivamente, concretamente, a qualcuno in carne ed ossa.
Posto che l’attrazione verso lo stesso sesso è un’inclinazione oggettivamente disordinata (Catechismo della Chiesa Cattolica), che l’esercizio di questa attrazione fa sbagliare direzione alla vita di un uomo (è il significato etimologico della parola peccato), posto che tale attrazione, che pure conserva delle radici misteriose, nasce prevalentemente in relazioni ferite nell’infanzia che l’inclinazione stessa tende a riparare, riproponendo però e quindi cronicizzando la ferita originaria che voleva tamponare (ampia bibliografia specialistica), posto che l’attrazione omosessuale è una maschera e non la verità dell’amore (Platone, Simposio e larga compagnia), come possiamo volere il vero bene di una persona cara che prova attrazione verso persone del suo stesso sesso? Abbracciare non può voler dire “bene, rimani in questa dinamica che non lenisce le tue sofferenze”. Più che amore questo è non curarsi del destino dell’altro.

Insomma, la premessa è che i gay siano persone sbagliate e che lei sia nel giusto in virtù di come la sua vagina ami essere penetrata (teoria che viene esplicitamente espressa dalla sua amica Silvana de Mari). Ed ovviamente dice anche che l'omofobia della Chiesa è un faro di luce per chiunque privi una morbosa avversione verso l'amore altrui:

A ricordarlo all’uomo contemporaneo è rimasta solo la Chiesa, che ha le idee molto più chiare di tanti cattolici, spesso inconsapevolmente imbevuti di un’ingegneria sociale “che con la sua mania di sperimentare diviene causa di molta sofferenza alle persone”, come scrive Juan José Pérez Soba nella sua postfazione al libro di John F. Harvey, Attrazione per lo stesso sesso, Accompagnare la persona, Edizioni Studio Domenicano. Lungi dallo sposare un atteggiamento di falsa misericordia che assomiglia tanto alla rimozione del problema, la Chiesa come madre non può dimenticare nessuno dei suoi figli, tanto meno quelli in difficoltà. Lo ricorda con coraggio, prendendosi insulti di ogni genere (ne so qualcosa nel mio piccolo), perché il tabu più intoccabile in assoluto è rimasto quello dell’autodeterminazione dell’identità sessuale, e del diritto alla felicità – un ossimoro – affettiva, generativa, sentimentale, emotiva. Lo ricorda, la Chiesa, innanzitutto tenendo sempre distinto l’amore a ogni persona dal giudizio sulle sue azioni. Lo fa non riducendo mai una persona alla sua inclinazione. Lo fa annunciando alle persone che provano un’attrazione omosessuale che non sono costrette a definirsi in funzione di questa, perché siamo sempre più grandi delle nostre emozioni, e comunque una persona può sempre scegliere di non esercitare la propria genitalità.

Per farla breve, ci dice che un gay non deve assolutamente accettarsi come tale e che il suo orientamento sessuale debba essere visto come un «problema». Oppure, volente affrontare il tema da un punto di vista più religioso, sostiene che un gay dinnanzi ai doni di Dio un gay debba rispedire tutto al mittente e dichiarare: «Rifiuto la vita che mi hai donato perché la Miriano esige che io vi rinunci pur di compiacere il suo rifiuto della tua creazione».

Ma in quell'irresponsabile promozione dell'odio verso sé stessi, spesso causa di abuso di droghe se non direttamente di suicidi, la Miriano aggiunge:

Lo fa in modi diversi, mantenendo sempre ferma la dottrina, suggerendo cammini pastorali diversi ma chiari e netti. Uno di questi, i cui contorni sono definiti nel libro di cui sopra, è Courage, “un itinerario importante – dice l’arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Zuppi, che ne firma la prefazione – perché la Chiesa vuole essere vicina e materna a tutti, e se ci sono persone che vogliono affrontare la propria attrazione è prezioso fornire un itinerario pastorale. Certo, non è l’unico, perché richiede consapevolezza e decisione”. Courage è un percorso concepito in oltre cinquanta anni di attività negli Stati Uniti da padre Harvey, un oblato di san Francesco di Sales, e ora promosso dai vescovi cattolici in cinque continenti. L’obiettivo è aiutare queste persone a vivere nella castità, trasformando le energie affettive in servizio agli altri, fratellanza, amicizia, testimonianza. Gli strumenti proposti, attraverso un cammino in dodici punti lungamente sperimentato, sono preghiera e sacramenti, insomma una vita spirituale piena e ricca – quella peraltro alla quale sono chiamati tutti i battezzati – e soprattutto un accompagnamento di amicizia vera, perché senza una compagnia non si va a Dio. “Non è un comando – sottolinea monsignor Zuppi – è solo una proposta, ma è molto seria”: il cammino infatti è fondato su solide basi dottrinali e teologiche, ma ha un approccio multidisciplinare (psichiatri psicologi antropologi filosofi popolano la ricca bibliografia del volume): “l’abbondante grazia di Dio aiuterà a indirizzare tante anime verso la felicità dell’Amore, proposto a tutti – dice Zuppi – possibile per chiunque, liberante, giogo dolce e leggero, proposta di quel “seguimi” che è la prima e ultima parola di Gesù a Pietro e a ogni chiamato”.

Definendo poi i gay con l'orribile acronimo patologizzante "a.s.s." (attrazione per persone dello stesso sesso), la Miriano si bulla dei gay uccisi dall'omofobia per sostenere che siano stati uccidi da quell'orientamento sessuale che lei detesta:

Le persone con a.s.s. non sono quindi cristiani di seconda categoria, anzi, sono chiamati a un cammino che o è radicale, o non è. Courage non si pone come obiettivo primo l’inversione della tendenza, ma trasmettere la certezza dell’amore totale e incondizionato di Dio, che sta sempre dalla nostra parte. In questo atteggiamento di fondo di grande tenerezza padre Harvey ci va giù duro, senza preoccuparsi proprio per niente del pol corr: “l’uomo che si identifica come omosessuale continua a nutrire odio verso se stesso, si odia profondamente, spesso si annega nell’alcool o prende in considerazione il suicidio. Questo spirito di autocondanna genera amarezza verso la società e, per chi crede, verso Dio” (non è dunque la supposta omofobia né lo stigma sociale a rendere infelici certe persone, né l’ottenimento dei cosiddetti diritti civili è la soluzione); sottolinea con forza che nessuno studio ha potuto provare l’esistenza di un’a.s.s. di origine genetica, ossia innata, dice che gli atti omosessuali sono per loro natura fonte di frustrazione perché si cerca nell’altro ciò che manca a se stessi, ma la relazione fra due persone con la stessa ferita non è duratura, l’omosessuale promiscuo ha paradossalmente paura dell’intimità (io tenderei a dire che questo vale anche per gli eterosessuali, cioè per chiunque viva la sessualità in modo egoistico e non aperto alla fecondità), non è ingiusto che chi faccia propaganda omosessualista in modo aperto sia discriminato quanto alla collocazione di bambini per adozione o affido, o per l’assunzione di insegnanti o allenatori (Deo Gratias! Discriminare vuol dire discernere, ed è segno di prudenza e intelligenza!), e infine “la Chiesa si oppone sia all’ingiusta discriminazione delle persone sia a qualsiasi legislazione sui presunti diritti gay”. Quanto al riorientamento dell’attrazione, è tenuto sullo sfondo, cioè ritenuto da incoraggiare ma non obbligatorio: che la ferita guarisca non è scontato, ma che noi siamo più grandi della nostra ferità, questo sì, è certo.

Peccato che bisognerebbe ricordare alla Miriano che non basta mettere la testa sotto la sabbia e negare la realtà per poter sostener che è la sua promozione dell'intolleranza ad aver causato morte e disperazione, non certo un amore che lei contrasta perché incapace di comprenderlo.
Il solo pensare che nel 2017, a causa della convenienza politica di personaggi come Toni Brandi, Mario Adinolfi e Riccardo Cascioli, ci si ritrovi costretti ad avere a che fare con gente che non ha paura di mettere a rischio la vita di una adolescente pur di sostenere che l'omosessualità si possa "curare" è assurdo. Ed è assurdo anche che lo stato non difenda i bambini dalle loro violenze, così come qualche assistente sociale dovrebbe prendersi la briga di assicurarsi che quella donna non possa fare del male ai suoi figli qualora non dovessero rivelarsi eterosessuali.
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