Simone Pillon si auto-proclama martire della promozione omofobica. È sotto processo per diffamazione


È panico tra le file dell'integralismo cattolico, sconcertati da come si siano reso conto che non basta citare Dio per potersi sentire liberi di diffamare gli altri nella più totale impunità. Raccontando una versione alternative dei fatti ed attaccando ferocemente una giurisprudenza che osa riconoscere dei diritti anche alle vittime della loro persecuzione, è La Nuova Bussola Quotidiana di Riccardo Cascioli a sostenere che Simone Pillon «è stato rinviato a giudizio dopo una denuncia di un'associazione Lgbt» e che «la sua vicenda testimonia il pericolo di una limitazione della libertà di opinione, educativa e religiosa nel nostro Paese. Pillon dovrà difendersi e con lui saranno i tanti italiani che non vogliono piegarsi alla dittatura della gaycrazia. In queste parole traspare il militante pro life, ma anche l'uomo che resisterà di fronte all'attacco e confida nell'unico avvocato in grado di salvare l'uomo, il Paraclito».
Se non è chiaro perché mai l'omofobia e la mancata tolleranza dovrebbero essere spacciati con l'inappropriata denominazione di "pro life", nella realtà dei fatti Pillon dovrà semplicemente rispondere delle affermazioni pubbliche in cui ha sostenuto che gli interventi informativi contro l’omofobia per gli studenti degli istituti superiori curati dall’associazione Omphalos Perugia fossero in realtà degli inviti ad avere rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso, così come aveva additato le attività dell’associazione come una istigazione all'omosessualità. Frasi che dovrà dimostrare per non incappare nel reato di diffamazione.
Eppure ci troviamo ancora una volta dinnanzi a chi si lamenta che la legge sia uguale per tutti, magari sostenendo pure che il suo auto-proclamarsi "cristiano" dovrebbe garantirgli regole diverse dopo che si è provveduto ad attribuire a Dio ogni più perversa ideologia. E i ritornelli li conosciamo tutti: Dio odia i gay. Dio si compiace delle mie eiaculazioni. Alla Madonna piacciono le donne che si sottomettono all'uomo. A Dio piacciono le seconde mogli sposate contro ogni dogma religioso in un qualche casinò...

Dalle pagine del sito ciellino, Pillon dice che il suo «primo pensiero è di gratitudine alla storia che mi permette di soffrire per la verità. So infatti che la ricompensa sarà grande, e in una misura già ne sto gustando la caparra sia per la pace che provo nonostante tutto sia per le tantissime manifestazioni di solidarietà che mi giungono da ogni dove». Ed ancora, in quella nuova abitudine che vede l'integralismo sempre più propenso ad utilizzare la preghiera come strumento di offesa, afferma che lui non prova «nè odio nè risentimento verso i miei accusatori tanto che li ricordo ogni giorno nelle mie povere preghiere, e questa per un temperamento come il mio è la più grande delle vittorie».
Sarà, ma l'odio e il risentimento è proprio ciò di cui dovrà rispondere dinnanzi ad affermazioni pubbliche che paiono assai lontane da quella «verità» con cui si riempie la bocca.

Con un vittimismo quasi adonolfiniano, Pillon si dice anche vittima di chi ha osato chedere alla giustizia ordinaria di valutare se le sue affermazioni rappresentino un reato, romanzando il racconto sino a sostenere:

Sto affrontando il processo con la certezza che sono in gioco sia il mio futuro (in caso di condanna rischio ripercussioni sulla mia professione) che quello della mia famiglia, visto che il risarcimento richiesto dalle parti civili (circa 350-400 mila euro) va molto oltre le mie capacità economiche, ma soprattutto con la certezza che è mio preciso dovere affrontarlo, per dare a tutti i genitori nel mio piccolo la consapevolezza che non possiamo arrenderci davanti alle ideologie genderiste che vogliono ingoiare i nostri figli.

Peccato che, ancora una volta, la sua tesi antigay non è ciò per cui è l'uomo è sotto processo. Il tema resta solo ed esclusivamente il voler appurare se abbia dichiarato il falso per fomentare odio contro l'operato di un'associazione. Perché anche noi potremmo legittimamente ritenere che l'ideologia di Pillon sia una minaccia per i bambini e per tante famiglie, ma ciò non ci autorizza di cero ad andare in giro a dire che è un pedofilo se non si hanno prove al riguardo.

La posizione di Pillon cade poi nel patetico nel suo sostenere che il diritto civile sua una violenza. Dopo anni al fianco di quella Provita onlus e quei Giuristi per la vita che hanno presentato decine e decine di denunce contro chiunque osasse opporsi al loro pensiero unico, ora scrive:

Alzarsi in piedi e soffrire personalmente per dichiarare la nostra libertà e difendere i nostri figli comporta il rischio di essere colpiti, e cominciamo ad essere in tanti a farne le spese. Il mio pensiero va a chi come me (medici, insegnanti, psicologi, giornalisti) sta affrontando tribunali e consigli di disciplina con l'accusa di aver detto la verità. La strategia delle ideologie è chiara e non tollera voci di dissenso.
E tuttavia queste ideologie dimostrano la loro pochezza e inconsistenza ricorrendo allo strumento penale e disciplinare visto che se avessero argomentazionii logiche e convincenti non avrebbero problemi ad affrontare il dibattito pubblico. L'intolleranza verso il dissenso è la miglior prova della loro debolezza.

A dire che quella sia «la verità» è l'imputato. Se davvero credesse alla sua innocenza, forse non avrebbe timori a lasciare che siano i giudici ad appurare i fatti. Perché Pillon potrà anche chiedere di preghiere per lui o auspicare un intervento pubblico che possa negare l'accesso al diritto civile per le sue vittime, ma non può davvero pensare di risultare credibile nel lamentarsi che le vittime di un danno stimato in 400mila euro non rinuncino a chiedere giustizia perché lui preferirebbe un dibattito pubblico in cui poter asserire tutto ciò che gli passa per la mente senza doversi assumere la responsabilità delle sue parole.
Un avvocato dovrebbe sapere che la libertà di espressione non significa poter dire tutto ciò che si vuole, altrimenti chiunque potrebbe sentirsi legittimato ad accusarlo di qualunque nefandezza per poi pretendere che nessun giudice possa chiedergli conto di quelle asserzioni. E che dire di come nel suo discorso Pillon non presenti alcuna "prova" delle asserzioni sotto processo, quasi bastasse la sua auto-dichiarazione di non colpevolezza a contrastare le prove tangibili proposte dalla parte offesa? Basta davvero questo per legittimare Riccardo Cascioli ad insultare pesantemente le vittime con il suo parlare di «dittatura della gaycrazia» dinnanzi a chi ha l'unica "colpa" di aver interpellato un giudice neutrale sulla base dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione?
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