Regione Lombardia vuole affossare i Centri Antiviolenza. Online una petizione contro le politiche di Maroni


L'omofobia va spesso a braccetto con la misoginia, motivo per cui non c'è molto da stupirsi dinnanzi alla decisione della giunta leghista guidata da Roberto Maroni di imporre regole che rischiano di limitare l'accesso all'assistenza per le donne vittima di violenza. Nulla di nuovo a fronte di un ente in cui l'assessora Cappellini si faceva fotografare divertita mentre dal palco il suo Matteo Salvini rappresentava le donne come bambole gonfiabili utili solo al piacere del maschio.
Sino ad oggi, la premessa fondamentale per chi si recava in un Centro Antiviolenze lombardo era la garanzia di anonimato, ma ora la Regione Lombardia pretende che non si possa fornire alcun aiuto a quelle vittime che non si presentassero con il loro codice fiscale in mano, ossia con un dato sensibile che possa renderele inequivocabilmente identificabili. Vien da sé che non si tratti cero di una richiesta di poco conto a fronte di chi ha fondati motivi di temere ritorsioni e vendette da parte del proprio carnefice.

Per questo motivo la Rete Lombarda dei Centri Antiviolenza ha lanciato una petizione per invitare tutte le cittadine e tutti i cittadini a manifestare il loro dissenso contro le politiche di Regione Lombardia che minano la libertà di azione dei Centri Antiviolenza e con questa quella delle donne. Nel testo, spiegano che:

La violenza contro le donne non accenna a diminuire, mentre l’autonomia d’azione ed economica dei Centri Antiviolenza viene sempre più limitata dalle scelte politiche che Regione Lombardia vuole imporre.
Da oltre 30 anni, i Centri Antiviolenza garantiscono che le donne possano uscire dalla violenza scegliendo in autonomia come farlo, sostenute dalle nostre associazioni che: rispettano e tutelano la riservatezza della storia riportata dalla donna e il suo anonimato; non la obbligano ad una denuncia di cui non è né convinta né preparata ad affrontare le possibili conseguenze, senza la garanzia di una sua sicurezza personale; accompagnano la donna seguendo una metodologia che rispetta la sua volontà, valorizza le sue risorse e i suoi desideri, consentendole di raggiungere i suoi obiettivi.
L'esperienza dei Centri Antiviolenza maturata in 30 anni di lavoro dimostra che l'anonimato delle donne e la segretezza delle loro storie porta un duplice risultato: le donne si aprono con fiducia e le loro vite non sono messe a rischio. Regione Lombardia, imponendo ai Centri Antiviolenza la registrazione del codice fiscale delle donne, contrasta questa modalità di lavoro.
L'esperienza dei Centri Antiviolenza dimostra che per le donne è importante poter scegliere quando denunciare decidendo i passi del loro percorso. La denuncia spesso espone le donne alla vendetta dell'uomo, soprattutto se non si è valutato prima ogni rischio e conseguenza di questa decisione. Regione Lombardia, imponendo alle operatrici dei centri il ruolo di incaricato di pubblico servizio, vanifica il consenso della donna la valutazione informata delle conseguenze della sua denuncia.
L'esperienza dei Centri Antiviolenza conferma l'importanza della pratica politica di relazione con le donne, una metodologia riconosciuta anche a livello nazionale (Intesa Stato Regioni) che ha salvato migliaia di donne dalla violenza. Regione Lombardia sta costruendo un albo regionale che accredita anche soggetti che non rispettano questo metodo, vanificando così anni di impegno politico e di risultati raggiunti.
Regione Lombardia deve rispettare la convenzione di Istanbul che prevede che “i diritti della vittima [siano] al centro di tutte le misure e siano attuate [politiche] attraverso una collaborazione efficace tra gli enti, le istituzioni e le organizzazioni pertinenti” (art. 7) ritirando tutte le delibere che contengono imposizioni contrarie alla libertà di scelta delle donne.

Clicca qui per firmare la petizione.
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