Sono i giornali a fomentare l'omofobia?


Se i giornali non specificano mai che l'eterosessuale Adinolfi gira le parrocchie raccontando di come lui pratichi esclusivamente sesso bareback con la sua eterosessuale seconda moglie quale ostentazione del suo stile di vita eterosessuale, difficile è comprendere perché mai dinnanzi al bacio scambiato tra Gus Kenworthy e il suo ragazzo la quasi totalità dei quotidiani ha parlato di «bacio gay».
Un bacio è un bacio e non ha certo orientamento sessuale. Il tentativo di inserire una specifica relativa all'orientamento sessuale è un atto che sembra voler etichettare quel gesto come se fosse un qualcosa di diverso se a scambiarselo sono due gay. Non a caso Mario Adinolfi si guarda bene dal parlare di matrimonio egualitario, ben sapendo che quel termine lascerebbe trasparire che è di pari dignità che si sta parlano: lui parla di «matrimonio gay» proprio per creare separazioni che possano incitare le vecchiette a sbraitare come indemoniate che qualcuno starebbe introducendo n qualcosa di diverso. Ma se si esce dalla sua ideologia del disprezzo e ci si appella alla ragione, resta il fatto che il matrimonio è sempre matrimonio e che i distinguo dovrebbero essere solo un brutto ricordo legato al nazismo.

Ad essersi domandata come un uso scorretto del linguaggio possa contribuire ad alimentare l'omofobia è la Commissione Pari Opportunità dell'Ordine dei Giornalisti della Campania attraverso un convegno dal titolo “La collettività LGBTI e i media”.
Secondo Monica Scozzafava, responsabile della redazione sportiva del Corriere del Mezzogiorno, certe notizie possono sensibilizzare l'opinione pubblica sul rispetto e l'integrazione, ma un uso scorretto della lingua può trasformasi un un mezzo che promuove odio e omofobia.
Dello stesso avviso è anche Franco Grillini, il quale ha sottolineato che «in tale ambito porre come prioritario il tema del linguaggio non significa affatto promuovere l’uso del politicamente corretto ma significa, al contrario, invitare le giornaliste e i giornalisti a essere rispettosi delle persone LGBTI. A tenere in considerazione anche la loro “sensibilità”. E a tenere in considerazione anche i loro diritti che a tutt’oggi, in Italia, non sono garantiti in maniera pienamente egualitaria”. Il fine, insomma, è comprendere quale sia il giusto utilizzo delle parole, perché basta una parola sbagliata per creare ferite inimmaginabili».

Il terreno che su cui si gioca la partita non è certo un campo facile. Solamente il 60% dei cittadini tra i 18 e i 74 anni ritiene che gli omosessuali siano discriminati; il 73% pensa che l’omosessualità sia "immorale". Chi comunica a questa gente ha una forte responsabilità nel cercare di non assecondare quell'odio quasi si fosse un Adinolfi qualunque.
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