Gianfranco Amato lascia il partito di Adinolfi, guarda alla Lega e auspica una riappacificazione con Gandolfini


Gianfranco Amato si è dimesso dal ruolo di segretario del Popolo della famiglia. Pare una morte annunciata quella del patito di Adinolfi che si basava unicamente sulla promozione dell'omofobia a fronte di partiti concorrenti che includevano nel loro populismo anche razzismo e xenofobia.
Se Mario Adinolfi sta assistendo al fallimento del secondo partito da lui fondato (il primo venne sciolto nel 2006), il suo compagno d'odio pare voler guardare a quella Lega di Matteo Salvini con cui più volte ha collaborato e che alle scorse elezioni hagarantito una poltrona in Senato a quel Simone Pillon che lavora per conto di Massimo Gandolfini.

L'annuncio è contenuto in un lungo scritto a firma di Amato pubblicato sul quotidiano di Belpietro, nel quale il fondamentalista non solo continua ossessivamente e opinabilmente a sostenere che lo si debba ritenere "cristiano" nonostante ogni sua parole e rivendicazione parrebbe dimostrare l'esatto contrario, ma nel quale pare macchiarsi del peccato capitale di superbia nel suo sostenere che ogni sua parola o rivendicazione debba essere ritenuta la volontà di Dio. Un Dio che lui sostiene gradisca la chiusura dei porti ai bisognosi in barba al messaggio d'accoglienza predicato da Gesù o che condividerebbe il suo sostenere che la vita umana valga meno della proprietà privata e quindi sia doveroso permette ai sedicenti "cristiani" che votano Salvini di potersi dotare con armi da fuoco con cui ammazzare il prossimo.
Non pare un caso che Amato si trovi in sinergia con la Lega, non solo perché ha più volte collaborato con Radio Padania o con altre realtà legate al parito, ma soprattutto perché i loro metodo comunicativo è lo stesso. Se Salvini riesce a far aumentare la paura al punto che un italiano su quattro vorrebbe poter avere una pistola in casa nonostante i crimini siano in calo, è attraverso la paura "gender" che il partito di Adinolfi cercava consensi tra i bigotti. Se Le Lega dice che prima vengono gli italiani, lui diceva che prima viene la famiglia eterosessuale: è il "cristianesimo" del prima vengo io e gli altri si arrangino. Molto cristiano.
Amato non si risparmia neppure da attacchi ad una CEI che sostiene avrebbe dovuto fare campagna elettorale al suo partito e continua a ripetere come sia fondamentale limitare la libertà altrui al fine di creare una dittatura in cui sia lui a poter decidere della vita altrui. In un passaggio della lettera, afferma:

L’attuale governo Lega-M5S non rappresenta certamente il massimo delle aspirazioni del popolo del Family Day, ma deve essere letto per quello che oggettivamente è dal punto di vista valoriale: un governo di tregua. Non si potrà abrogare la legge Cirinnà e forse chiudere l’UNAR, ma almeno sarà possibile arrestare la deriva antropologica del non-pensiero grillino. Agli amici schizzinosi ricordo che l’alternativa a questo governo sarebbe stata l’alleanza Cinque Stelle-Partito Democratico. In tale denegata ipotesi avremmo avuto, nell’ordine, il matrimonio egualitario, l’adozione gay, l’utero in affitto, la legge sull’omofobia, e via degenerando.

Due sono gli aspetti più evidenti. Da un lato Amato è tornato a parlare a nome del "family day" quasi sperasse di poter tornare tra le grazie di Gandolfini, dall'altro enuncia una serie di obiettivi che non avrebbero alcun effetto sulla sua vita ma che servono solo a limitare la libertà altrui. Non vuole che gli altri possano decidere del proprio fine vita, non vuole possano sposare chi amano e non vuole possano ricevere protezione contro l'odio. Vietare matrimoni e chiudere i centri anti discriminazione sarebbero «l'utopia» del suo dirsi «cristiano».
La sua analisi politica passa così ad evidenziare quelli che paiono i veri fini del fondamentalismo, come la sua ipotesi che con si possa discutere di abbandonare l'Europa per confluire sotto l'egemonia della Russia di Putin. Lo dice mentre sostiene che il fine non dev'essere il bene ma il «consenso», forse scordatosi di come nazismo e fascismo crebbero con il favore della maggioranza.
Tra citazioni si santi e fantomatiche profezie, arriva a dirsi compiaciuto da un ministro della famiglia che dice di non essere a conoscenza dell'esistenza delle famiglie non conformi ai distinguo del fondamentalismo: «Un ministro della Famiglia come Lorenzo Fontana, un ministro dell’Istruzione come Bussetti e un Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri come Giancarlo Giorgetti, rappresentano oggettivamente un baluardo a difesa dei principi non negoziabili», dice.

Sempre invitando a vedere in Matteo Salvini la volontà di Dio, Amato spiegaanche  che il suo partito deve scomparire per non togliere voti alla Lega. Secondo lui, infatti, si tornerà al voto non appena Salvini cercherà di mettere a frutto la campagna elettorale che sta conducendo al posto di fare il ministro e gli italiani dovranno «scegliere tra la Lega e il Movimento Cinque Stelle. Ogni alternativa verrebbe vista come una pericolosa sottrazione di voti ad una di quelle due forze politiche. L’idea di non far vincere i grillini e la loro devastante visione antropologica, avrebbe a quel punto un indiscutibile appeal nel popolo del Family Day».
Dunque non si fa qualcosa "per" costruire qualcosa, lo si fa "contro" qualcuno, possibilmente agitando santini e roteando rosari come Salvini in piazza Duomo.
In un altro passaggio, Amato è fra le righe che accusa Mario Adinofli di essere animato da «ambizioni personali» che gli permetterebbero di «trarre vantaggi personale dalla politica». Sostenendo che lui non avrebbe vantaggio alcuno nel cercare una poltrona (cosa opinabile dato le lobby statunitensi per cui lavora) si dice convinto che il suo ritiro farà chiudere il partito, ormai ritenuto inutile per raggiungere i suoi fini. Il tutto mentre prova a tendere la mano a Gandolfini quasi sperasse in un ripescaggio che lo possa riportare sul carro di chi sta traendo vantaggio dall'omofobia.


A seguire il testo integrale della lettera scritta da Gianfranco Amato:

L’incompiuta di Venosa

Il cristiano, per sua stessa natura, è chiamato ad essere un ostinato realista.
La peggiore nemica della fede è l’ideologia, e l’ideologia più velenosa è quella utopistica, perché ti immerge nell’illusione di un mondo virtuale nel quale prevalgono i sogni, i progetti, i desideri e gli schemi mentali, a discapito della nuda e cruda realtà. Ciò che un cristiano, quindi, deve sempre evitare è il rischio di scivolare verso quel processo mentale che gli anglosassoni definiscono wishful thinking, ossia una sorta di pensiero illusorio per cui uno tende a crearsi convincimenti e prendere decisioni facendosi dirigere da ciò che gli appare essere più piacevole, gradito o appagante sotto il profilo personale, arrivando al limite in cui è il desiderio a prevalere sulla stessa realtà.
Da questo punto di vista io sono un irriducibile tomista.
Per me la verità resta sempre «adequatio rei et intellectus», ossia l’adeguamento del pensiero alla realtà. Lo ricordo sempre in tutte le mie conferenze quando parlo della ideologia gender. Una mela è una mela – ricordava San Tommaso ai suoi allievi della Sorbona – come un uomo è uomo e una donna è una donna. Non sono le nostre opinioni, i nostri sentimenti, i nostri desideri a determinare la realtà, ma la realtà a condizionare le nostre opinioni, i nostri sentimenti e i nostri desideri. Ricordava, infatti, San Tommaso nella sua Summa che «appartiene alla natura stessa dell’intelletto conformarsi alla realtà delle cose».
Questo non vale, ovviamente, solo per l’ideologia gender, ma resta vero per tutti gli ambiti d’azione dell’uomo. Compreso quello politico.

Ho fatto questa lunga premessa per spiegare che oggi è impossibile qualunque analisi della situazione politica italiana che prescinda da un’oggettiva presa d’atto di una realtà mutata.
Chi si ostinasse a ragionare come se fossimo ancora al 3 marzo 2018, commetterebbe un grave errore di prospettiva e, se cristiano, un tradimento del dovere morale di non privilegiare uno schema mentale rispetto all’osservazione intera, appassionata, insistente dei fatti, della realtà. Come insegnava anche il mio maestro don Luigi Giussani.
L’esito elettorale del 4 marzo 2018, infatti, ha determinato nel panorama politico italiano un vero e proprio tzunami. Un cataclisma che ha spazzato via certezze, progetti, accordi e sogni.
Tutti davamo quasi per certa la riedizione del patto tra Renzi e Berlusconi – il cosiddetto “Nazareno bis” –, i quali non a caso si erano confezionati una legge elettorale ad hoc. Nessuno avrebbe immaginato che due partiti come Forza Italia e PD, sarebbero stati letteralmente travolti al punto da rischiare l’estinzione o l’insignificanza politica.
Oggi lo scenario è completamente mutato, ed è con questo nuovo scenario che occorre fare i conti.

Una visione realistica ci impone, quindi, la necessità di elaborare alcune riflessioni sull’attuale quadro politico.

1) Dalla Chiesa e dal cosiddetto mondo cattolico (associazioni, imprenditori, intellettuali, movimenti), non giunge nessun segno concreto e tangibile di uno sforzo per costituire una presenza politica di dichiarata matrice cristiana. Con l’attuale presidenza della C.E.I., al di là delle frasi di circostanza sulla necessità di un non meglio precisato “impegno politico”, non pare si profilino all’orizzonte barlumi di un realistico progetto di partito. Occorre anche essere realisti nel tener conto che qualora il suddetto mondo cattolico decidesse, nei prossimi anni, di scendere dichiaratamente in campo, è assai improbabile che lo faccia attraverso quello che, purtroppo, continua ad essere percepito come il “partito di Adinolfi”. Tra l’altro, anche lo stesso concetto di “voto cattolico” penso non esista più: oramai un cristiano (laico o clerico che sia) si sente libero, dal punto di vista morale, di votare indifferentemente Lega o Partito Democratico.

2) L’attuale governo Lega-M5S non rappresenta certamente il massimo delle aspirazioni del popolo del Family Day, ma deve essere letto per quello che oggettivamente è dal punto di vista valoriale: un governo di tregua. Non si potrà abrogare la legge Cirinnà e forse chiudere l’UNAR, ma almeno sarà possibile arrestare la deriva antropologica del non-pensiero grillino. Agli amici schizzinosi ricordo che l’alternativa a questo governo sarebbe stata l’alleanza Cinque Stelle-Partito Democratico. In tale denegata ipotesi avremmo avuto, nell’ordine, il matrimonio egualitario, l’adozione gay, l’utero in affitto, la legge sull’omofobia, e via degenerando.

3) Il cosiddetto “centrodestra”, ovvero la coalizione formata da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, di fatto non esiste più. Nel futuro scenario politico italiano appare sempre di più verosimile l’ipotesi di due forze politiche aggreganti destinate a confrontarsi non più sul piano ideologico dei vecchi schemi novecenteschi (destra/sinistra), ma sul piano antropologico (vita, famiglia, educazione), economico (euro si/euro no), internazionale (UE/Russia), europeo (sovranismo/Stati Uniti d’Europa), sociale (popoli/élite), sulla sicurezza (legittima difesa si/legittima difesa no), e così via. Su quei temi si misurerà davvero il consenso, e sarà sempre più ridotto lo spazio per piccole forze politiche “di testimonianza” su ogni singolo tema.

4) L’attuale legge elettorale – il famigerato “Rosatellum” – non verrà modificata. Questo significa che la Lega punta a proseguire l’attuale “cavalcata delle Valchirie” in termini di consenso elettorale ben oltre il 40%. Questo può concretamente accadere se Salvini gioca bene le sue carte, ossia vince la battaglia dei porti costringendo l’Europa ad affrontare una volte per tutte il problema immigrazione; modifica la Legge Fornero agevolando chi è stato stritolato dall’incomprensibile rigore di quelle norme; migliora i rapporti tra Fisco e cittadini con la cosiddetta “pace fiscale”; porta la pressione tributaria ad una misura sostenibile; ridà dignità all’Italia in sede europea allentando i vincoli che stanno strozzando l’economia del nostro Paese; riesce a generare un maggior senso di sicurezza tra i cittadini. Se le suddette condizioni si realizzassero prima della scadenza naturale della legislatura, la tentazione di andare all’incasso con nuove elezioni sarebbe irresistibile per la stessa Lega. Questo significa concretamente, che gli italiani tra un anno o due potrebbero tornare al voto e dover scegliere tra la Lega e il Movimento Cinque Stelle. Ogni alternativa verrebbe vista come una pericolosa sottrazione di voti ad una di quelle due forze politiche. L’idea di non far vincere i grillini e la loro devastante visione antropologica, avrebbe a quel punto un indiscutibile appeal nel popolo del Family Day.

5) La Lega di Salvini, oggi, non è più la Lega di Bossi e dell’illusione secessionista. Per questo sbaglia chi oggi si ostina ad indentificarla ancora con gli «adoratori del dio Po».

6) Un ministro della Famiglia come Lorenzo Fontana, un ministro dell’Istruzione come Bussetti e un Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri come Giancarlo Giorgetti, rappresentano oggettivamente un baluardo a difesa dei principi non negoziabili. Avere soggetti a presidio delle caselle più delicate per il popolo del Family Day (vita, famiglia ed educazione), non può essere archiviato come un fatto irrilevante.

7) L’avventura del Popolo della Famiglia ha fallito non solo l’obiettivo di superare soglia di sbarramento del 3%, ma soprattutto quello di andare oltre la soglia psicologica dello “zero virgola”. Trend confermato, purtroppo, anche nelle successive elezioni amministrative, che hanno coinvolto 761 comuni, di cui 109 con più di 15.000 abitanti, e che hanno visto la presenza del Popolo della Famiglia limitata a qualche decina di competizioni elettorali, in molti casi senza neppure riuscire a formare una lista autonoma. Non prendere atto di questa oggettiva evidenza significa essere incapaci di leggere la realtà secondo un uso cristianamente corretto della ragione.

L’esperienza del Popolo della Famiglia è nata da una felice intuizione che io mi sento di rivendicare: quella di dare una “casa politica” a quella parte del popolo italiano che chiede di essere rappresentata da parlamentari non disponibili ad alcun compromesso sui principi che derivano da una visione antropologica cristiana. Insomma, una forza politica valoriale e identitaria, presente in parlamento e capace di condizionare un governo di centrodestra. Questo obiettivo, purtroppo, non è stato realizzato, anche se al progetto deve essere comunque ascritto il merito di aver certificato il fatto che gli italiani non avvertono l’esigenza di una simile presenza, quantomeno nella formula offerta dal Popolo della Famiglia. Questo è un fatto innegabile e oggettivo. A nulla sono valsi, purtroppo, i duecentoventimila votanti che hanno creduto nel progetto e che io, in coscienza, mi sento di ringraziare singolarmente, uno per uno.
Ora, io sono onestamente stanco di tutti coloro – mi riferisco ad amici, ecclesiastici, politici, intellettuali e imprenditori – che dopo la débâcle elettorale continuano a ripetermi di invitare Mario Adinolfi a fare un passo indietro, e che continuano a rinfacciarmi gli evidenti ed oggettivi limiti del Popolo della Famiglia.
Il passo indietro, quindi, ho deciso di farlo io.

Io posso farlo tranquillamente, perché non ho, né ho mai avuto, alcuna ambizione personale, perché non ho, né ho mai avuto, alcun progetto personale da difendere, perché non traggo, né ho mai tratto, alcun vantaggio personale dalla politica (anzi), perché ho sempre visto il Popolo della Famiglia come un semplice mezzo per combattere sul fronte parlamentare l’attuale dittatura del Pensiero Unico. E perché, in coscienza, non credo più che il Popolo della Famiglia possa essere oggi lo strumento più adeguato per una simile lotta.
Io posso farlo perché non credo negli effetti salvifici della politica e perché ritengo pericolosa l’illusione di pensare che la devastante rivoluzione antropologica in atto nel nostro Paese possa essere arrestata o rovesciata da una singola elezione, o da qualche elezione in assoluto. Occorre continuare l’opera culturale controrivoluzionaria e affiancarla ad una presenza politica che sia davvero capace di poter incidere concretamente.
Ecco perché io credo sia giunto il momento di ripensare ad un modo diverso di essere presenti e incidenti nell’ambito politico. Occorre pensare a qualcosa che concili la prospettiva profetica indicata da Rod Dreher nella sua Opzione Benedetto e i frutti migliori del Movimento Popolare ciellino degli anni ’70. Per un’operazione del genere io sono disposto a rimettere in gioco la mia faccia e il mio cuore.
Continuerò, comunque, nella mia missione tornando a fare quello che ho sempre fatto: testimoniare senza paura la Verità, in Italia e all’estero, fino agli estremi confini del mondo. Continuerò anche a lavorare perché si ricomponga la frattura all’interno del popolo del Family Day, quella che ancora tanti partecipanti all’indimenticabile esperienza del Circo Massimo vivono con dolore, come «un punto di sutura eternamente mal cucito», per citare Charles Peguy. L’esperienza di questi ultimi due anni ha dimostrato che proprio l’unità di quel popolo può essere oggi l’unica garanzia e la sola condizione per una reale incidenza a livello sociale, culturale e politico.
Qualcuno mi rinfaccerà che il 24 febbraio 2018 al Teatro Sala Umberto di Roma io definii il progetto del Popolo della Famiglia come un processo a lunghissimo termine, simile alla costruzione di una cattedrale. Citai, infatti, l’esempio proprio della cattedrale di Praga che richiese ben seicento anni per la sua realizzazione. Anticipo l’obiezione, rivendicando la bontà della metafora in linea di principio, ma precisando che oggi non ci sono più le pietre per continuare a costruire.
Il Popolo della Famiglia – e lo dico con il dolore nel cuore – ha subìto il medesimo destino della cattedrale incompiuta di Venosa, la cui realizzazione si è interrotta proprio per il venir meno dei materiali e dei monaci. La costruzione non si è fermata per l’espressa volontà dei costruttori ma per l’oggettiva impossibilità sopravvenuta. Oggi la si può rimirare nello splendido complesso della Santissima Trinità presso la cittadina lucana che ha dato i natali al poeta romano Orazio.
Dopo novecentodiciotto anni è ancora lì maestosa pur nella sua incompletezza a dimostrare ai posteri, come imperituro monito, che sempre «homo proponit, sed Deus disponit».

Gianfranco Amato
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