Con sei anni di ritardo, il senatore leghista Pillon si accorge che Mosca vietò il Pride per 100 anni. Ed esulta


Se pare vergognoso che un senatore della Repubblica possa citare la propaganda integralista dell'Uccr come "autorevole" fonte delle sue informazioni, sembra che il leghista Simone Pillon abbia voluto strafare nel festeggiare la limitazione della libertà di espressione decisa da Mosca a danno della comunità lgbt locale.
Con i suoi soliti urletti di eccitazione, è su Facebook che il senatore fa riferimento ad una notizia del 2012 nell'asserire:


Data la "autorevole" fonte citata, non stupisce si sostenga che i gay che osano sfidare l'omofobia di Putin meritino di essere definiti «lobby» da quel tale che vorrebbe sia dato valore giuridico ai suoi pruriti sessuali, peraltro ignorando che 2012+100 non faccia 2118 come da lui sostenuto. Con le decine di migliaia di euro di stipendio pubblico che percepisce, c'era da sperare sapesse quantomeno far di conto.
Forse bisognerebbe anche domandarsi perché mai Pillon spacci per odierno un articolo di cinque anni fa, ma nell'osservare come i suoi seguaci inneggino a Putin (forse ignorando che la decisione fu del sindaco) c'è da temere voglia farsi bello col suo capo nell'inneggiare all'annessione dell'Italia alla Russia teorizzata da quella Fondazione San Basilio di Mosca che sponsorizza gran parte del fondamentalismo nostrano..

Non solo. Il neocatecumenale che si definisce "pro-life" e che si vanta di aver fatto catechismo ai bambini è impegnato anche nel benedire l'idea che sia sempre legittimo sparare a qualcuno. In un'ostentato disprezzo per la vita, ci viene a raccontare che la proprietà privata abbia più valore della vita umana:


Ed ancora, ci informa che lui considera «verità scientifica» il sostenere che l'omosessualità debba essere ritenuta una «malattia» come dichiarò la signora De Mari a Radio 24:


Ed è qui che l'uomo di Gandolfini dimostra tutta la sua violenza, chiedendo si neghi il diritto di espressione alle sue vittime mentre difende i carnefici giurando su Dio che l'odio vada assolto perché da lui ritenuto «opinione».
E questo senza voler ricordare la sua appartenenza ad un partito che vide Salvini andare in pellegrinaggio alla spiaggia fascista di Chioggia per difendere chi esalta la figura del duce o trova divertente allestire docce che ricordassero quelle dei campi di sterminio nazista. In quell'occasione Salvini sostenne che il neofascismo fosse «un'idea» che non doveva essere «processata» dalla storia. Evidentemente tutto cambia quando qualcuno parla di diritti civili o tolleranza, giustificando chi emette sentenze di condanna ideologica basate su una violenta repressione della libertà e della vita altrui.
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