Il leghista Andrea Manfrin frigna per la sua sospensione dall'Ordine dei giornalisti dopo l'ennesima sparata razzista


Secondo un copione già visto, il capogruppo regionale della Lega Vallée d’Aoste e giornalista pubblicista Andrea Manfrin si è auto-proclamato "martire" dell'antirazzismo e protette ai seguaci di Salvini che lui continuerà a violare ogni regola civile pur di ostentare il suo odio.
In una ricostruzione molto lacunosa, il leghista cerca la solidarietà di neofascisti e leghisti pignucolando sui social: «L'ordine dei giornalisti sospende perché in un post ho definito chi entra illegalmente "clandestino"».
In realtà la violazione deontologica ravvisata dall'organismo disciplinare si riferisce alla Carta di Roma (recepita dal Testo unico dei doveri del giornalista) in cui si sancisce che il giornalista «nei confronti delle persone straniere adotta termini giuridicamente appropriati» evitando «la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti». In altre parole, si può parlare di «clandestini» solo qualora sia ravvisabile lo status di clandestinità e non quando dei richiedenti asilo vendono definiti con termini impropri da un partito che campa proprio sulla promozione di odio contro quelle vite.
E se Manfrin piagnucola senza fornire il testo del posti incriminato, che qualcosa non dovesse andare lo si evince anche dalle parole di Marialice Boldi, commissario della Lega Vda, che invoca l'inapplicabilità del codice deontologico: «Il post è stato scritto su un profilo Facebook personale e il termine "clandestino" non è stato utilizzato nel contesto di un articolo professionale. Per tale ragione ritengo pretestuoso il riferimento alla Carta di Roma».

Volendo formulare un'illazione, il post contestato potrebbe essere questo, nel quale il leghista definisce «clandestini» i richiedenti asilo che la Prefettura regionale aveva diretto in Valle d'Aosta nel 2015 nonostante la Lega pretendesse che loro potessero essere l'unica regione italiana a non partecipa al sistema Sprar per mantenere la percentuale di stranieri al di sotto dello 0,2% (alla faccia della fantomatica "invasione"!):



Dal canto suo Andrea Manfrin non è nuovo a polemiche legate ai suoi insulti razzisti. Nel 2017 additò come «richiedente asilo» un cittadino valdostano di colore, incitando i suoi proseliti all'odio contro il nostro connazionale. Quell'italiano, padre di famiglia, veniva pubblicamente deriso dal leghista che si chiedeva se usasse lo skate elettrico per «scappare dalla guerra» mentre fomentava odio tra «valdostani» che non si «possono permettere» un hoverboard perché «anche usato viene tra i 200 e i 500 euro» e sarebbe un mezzo di trasporto che un «clandestino» si possa permettere.
Per quanto possa apparire incomprensibile, lo scorso settembre se la cavò grazie all'archiviazione del fascicolo per diffamazione da parte del gip di Aosta, Giuseppe Colanzingari (dovessimo usare la loro retorica, forse dovremmo parlare di toghe verdi).
Nel 2018 mise alla gogna una farmacista italiana che indossava un velo che lui spergiurava fosse un burqua, lamentando come il Pd avesse bocciato una mozione leghista che chiedeva un divieto all'ingresso nei locali pubblici di donne con veli islamici. Anche lì cercò di cavarsela tirando in ballo imprecisate teorie sulla "tutela della dignità della donna".
Altri travisamenti vennero ravvisati dal Consiglio regionale quando Manfrin creò uno delle sue solite contrapposizioni populistiche raccontando ai giornali che «dal 2014 la Valle D’Aosta finanzia sigarette e altri vizi ai carcerati. Ho chiesto di destinare quei soldi alle famiglie delle vittime degli infortuni sul lavoro, ed alla prevenzione di questi infortuni, che invece, come ogni anno, non avranno un euro. Uv, Uvp, Alpe e soci, invece, hanno preferito i carcerati».
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