Grande Fratello Vip, Samy Youssef racconta il suo arrivo in Italia a bordo di un barcone: «Stavo per affogare»


Prima di essere l'eliminato della puntata, Samy Youssef ha avuto modo di raccontare la sua storia davanti al pubblico del Grande Fratello Vip. Si tratta di un racconto che ha fatto sbugiardando la retorica contro i migranti di Salvini e della Meloni, ossia quei due alleato di Orban che dicono di voler "difendere" la supremazia della razza padana che vede in Pillon un esempio del loro prototipo di maschio dedito alla penetrazione vaginale e alla propaganda dell'omofobia.

Samy ha raccontato di come la madre facesse lavori massacranti pur di portare un piatto caldo a casa, raccontando poi di come il padre la picchiasse: «Non lo giustifico, ma faceva un lavoro pesante, faceva il carpentiere. Io ho iniziato a lavorare con lui a 9 anni, a 15 volevo offrire qualcosa di più alla mia famiglia e così ho deciso di partire». «Per quindici giorni sono stato su un camion per quindici giorni per attraversare il deserto le onde del mare erano alte sette metri. Già al secondo giorno di viaggio in mare avevamo perso la speranza, poi è iniziata ad entrare acqua e in quel momento ho pensato di morire».
Ha spiegato di come abbiano cercato di gettare l'acqua fuori dal barcone e di come alcuni dei suoi compagni di viaggio non ce l'abbiano fatta. «Ho attraversato il mar mediterraneo anche senza saper nuotare -ha raccontato- La traversata è stata molto brutta, me la ricorderò sempre, è durata diversi giorni. Ho bevuto così tanta acqua salata. Se mi hanno spinto? No è che si è ribaltato il barcone. Il gommone era per massimo cinque persone e noi eravamo più di venti sopra. Calcola che io non so nuotare e ho rischiato davvero grosso».

Arrivato in Italia, ha chiamato la madre per dirle che non era morto: «Arrivato in Sicilia la Polizia mi ha portato in una casa famiglia, ma ci sono rimasto un giorno solo. Il tempo di andare là e farmi una doccia. Che poi la doccia è un modo di dire. Da dove sono io, non ho mai fatto la doccia. C’era solo un pentolone. Non sapevo né mettere l’acqua calda, né fredda. Il mio sogno era andare a Roma, così ho preso un treno. Ogni volta che un controllore mi trovava senza biglietto dovevo scendere. Nessuno mi capiva perché parlavo soltanto arabo». «Poi arrivato nella capitale sono andato poi nella caserma da solo. Non parlavo italiano. E lì nella caserma mi indicavano delle cose. Solo che non capivo quello che mi dicevano e sono scoppiato a piangere disperato, davanti alla polizia. Mi hanno preso, mi hanno portato da un’altra parte e poi lì sono stato in una casa famiglia, a Roma, per due mesi. Solo che volevano mettermi in prova, per veder un attimo come ti comporti, come non ti comporti ecc… Solo che io chiedevo lavoro, chiedevo lavoro, chiedevo lavoro… e a una certa c’era questa casa famiglia, a Tarquinia, perché comunque ero minorenne e non potevo stare da solo. Quando m’hanno trasferito là a Tarquinia, in quella casa famiglia… lì è nata tutta la mia vita».

Tra le righe ha anche spiegato come le case famiglia bbiano die limiti, dato che il loro compito è portare i ragazzi sino ai 18 e poi li si abbandona. Dal suo arrivo, fino ad oggi, solo una persona gli sarebbe sempre stata vicina in Italia: Angelo, il responsabile della casa famiglia di Tarquinia che lo ha accolto appena arrivato. Angelo gli ha anche trovato il primo lavoro come tutto fare nella cucina in un ristorante.
Samy ha così mandato alla sua famiglia tutto ciò che guadagnava, riuscendo a pagare i loro debiti e a permettere alla madre di poter smettere di lavorare di notte e di massacrarsi di lavoro. E forse nessuno avrebbe potuto immaginare che quel ragazzo spaurito sarebbe diventato un modello di punta per Moschino.
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